Al primo posto, c’è l’emergenza climatica, con il riscaldamento del pianeta prodotto dall’inquinamento atmosferico e di conseguenza gli sbalzi di temperatura, le piogge torrenziali, le alluvioni e le frane. Poi viene la guerra in Ucraina, con l’aumento del prezzo del petrolio e del gas, delle bollette e dei mutui. E quindi, la crisi energetica che spinge l’Occidente, e in particolare l’Europa, a cercare nuove fonti alternative, possibilmente “verdi” e non inquinanti per la salute collettiva, come il sole, il vento e le biomasse.
È in questo contesto generale che cresce la voglia di un ritorno al nucleare. Naturalmente, come si dice con una certa dose di ipocrisia, il nucleare “pulito”. Vale a dire un’energia ricavata non più dalla fissione dell’atomo, bensì dalla sua fusione. E questa, a differenza dei tradizionali combustibili fossili, non produce CO₂ (anidride carbonica) né altri fattori inquinanti. L’ipocrisia non dipende tanto dalla tecnologia, quanto dal fatto che – secondo la maggior parte degli esperti – occorreranno dai dieci ai vent’anni per perfezionarla, metterla a punto e costruire eventualmente le nuove centrali. Costi a parte.
È stato recentemente il presidente francese, Emmanuel Macron, ad annunciare il progetto di sei centrali entro il 2050. E si sa che la Francia ne conta già 19 elettronucleari, con 58 reattori di cui 40 nell’entroterra e 18 in mare, dopo averne dismesso 12 più obsoleti. Con la startup Newcleo, fondata da tre nostri connazionali con sede in Inghilterra, Macron punta a investire fino a tre miliardi di euro nella regione di Lione entro il 2030. Ma sulla sponda opposta del Reno la Germania ha programmato invece lo smantellamento di tutte le sue centrali. E l’Italia, che cosa pensa di fare il nostro governo rispetto a questa alternativa? Nucleare “pulito” sì o no?
“Nell’aggiornamento del Piano nazionale integrato energia e clima (Pniec) mettiamo nello scenario anche il nucleare, perché è la via obbligata”, ha dichiarato il ministro dell’Ambiente, Gilberto Pichetto Fratin, al giornalista Luciano Capone per Il Foglio. E ha spiegato: “In Italia consumiamo circa 305 TWh (terawattore – ndr) di energia elettrica all’anno. Gli analisti dicono che la proiezione al 2050 è di un consumo di 700-750 TWh. Il fotovoltaico produce di giorno e ha il problema dei terreni; l’eolico possiamo farlo offshore, ma funziona solo quando c’è vento; si possono fare gli accumuli con le batterie, ma serve il litio…”. Noi, insomma, non abbiamo – secondo il ministro – risorse sufficienti per raggiungere la produzione di quei 750 TWh che sarebbero necessari e perciò dobbiamo ricorre al nucleare “di nuova generazione”, non più con le grandi centrali bensì con “somme modulari”: vale a dire, in pratica, con impianti di mini-reattori. Ed è lo stesso Pichetto Fratin ad annunciare, perciò, che “l’11% della richiesta arriverà dal nucleare”.
Sulla stessa onda, la viceministro dell’Ambiente Vannia Gava, leghista con delega al nucleare, in un’intervista a Gaetano Mineo per il quotidiano romano Il Tempo, ha ribadito: “Credo che l’energia da fusione sia assolutamente da studiare perché sarà l’elemento che ci porterà sicuramente verso la decarbonizzazione. Ma dobbiamo cominciare a lavorarci ora. E’ per questo che abbiamo fatto la piattaforma del nucleare sostenibile, coinvolgendo tutte le associazioni e gli stakeholders. Abbiamo anche messo 135 milioni nella piattaforma Mission Innovation proprio perché in questo tema non possiamo rimanere indietro”.
Su un altro quotidiano di centrodestra come il Giornale, diretto da Alessandro Sallusti, è apparso intanto un articolo intitolato “Anche i guru green sdoganano il nucleare”, a firma di Pier Luigi del Viscovo. E qui si fa il nome di Bill Gates, il mitico fondatore di Microsoft e campione dell’ambientalismo, che avrebbe deciso ora di investire nel nucleare. La sua società TerraPower ha iniziato la costruzione di un sito a Kemmerer, nel Wyoming, per produrre “un’energia sicura, abbondante e a zero emissioni di carbonio”.
Secondo un sondaggio Ipsos, pubblicato sul Fatto Quotidiano, il 75% degli italiani è contrario al nucleare e solo un quarto si ritiene a favore. Per la maggioranza dei cittadini, a tutt’oggi la costruzione di centrali nucleari per produrre energia nel nostro Paese non è una soluzione attuabile e non rappresenta una valida alternativa alle fonti fossili. Il motivo: è considerato dalla maggioranza degli intervistati “troppo pericoloso e poco conveniente”.
La ricerca è stata commissionata da Legambiente, Kyoto Club, Conou, Editoriale Nuova Ecologia e presentato a Roma in occasione della prima giornata dell’11esimo Ecoforum nazionale. Per il 54% degli intervistati, il governo dovrebbe incentivare invece la produzione di energie rinnovabili per favorire lo sviluppo dell’economia circolare.
Sono passati, dunque, quasi quarant’anni dal referendum popolare con cui nel 1987 gli italiani bocciarono il nucleare, come energia di distruzione e di morte. E in un Paese ad alto rischio sismico come il nostro, il problema della sicurezza resta centrale per la salute della popolazione. Ma non si tratta di fare una “guerra di religione” per affrontare una questione così delicata e decisiva per l’economia nazionale: se un giorno si raggiungesse la certezza, tecnica e scientifica, che lo sviluppo della tecnologia consente di adottare il nucleare “pulito”, sarebbe inutile e controproducente opporsi. Ma se arrivassimo a questo punto, sarebbe la migliore conferma che il No di 37 anni fa era giusto e dunque che le resistenze degli ambientalisti erano fondate.
La foto in apertura è di Daniel Prudek