Su circa 39 milioni di automobili che circolano sulle strade italiane, sono 23.247.531 quelle ultradecennali. Oltre la metà. E ben più di quelle tedesche (20.357.516 su 48 milioni) e di quelle francesi (17.611.460). Segue la Gran Bretagna con 14.910.781, preceduta a sua volta da Spagna e Polonia con un parco circolante di una decina di milioni in meno. “Con questi numeri – commenta Giorgio Ursicino sul quotidiano Il Messaggero – l’aria delle nostre città non può che essere la più inquinata”.
È pur vero che gli autoveicoli non sono né gli unici né i principali responsabili dell’inquinamento atmosferico, alle spalle delle industrie e del riscaldamento domestico. Ma è chiaro comunque che, fino a quando non si passerà dai motori termici a quelli elettrici, le quattroruote e anche le due ruote continueranno ad alimentare lo smog urbano. E invece, come si sa, l’Unione europea ha stabilito che dal 2035 non potranno essere più venduti modelli a benzina o diesel, per ridurre le emissioni nocive di CO₂. Mentre va stimolato il trasporto pubblico rispetto a quello privato.
I nostri 23 milioni e passa di vetture con più di dieci anni rappresentano, dunque, un record a livello europeo e nello stesso tempo un pericolo pubblico da contrastare. È innanzitutto una questione di salute collettiva, ma anche di sicurezza dei guidatori e dei passeggeri. Non stiamo parlando qui di “vecchie signore”, cioè di auto d’epoca che appartengono a musei o collezioni private e che comunque hanno una circolazione limitata. Bensì di mezzi che, oltre a consumare e inquinare di più, non sono dotati di una meccanica evoluta e moderna. E spesso si tratta di “carrette” o catorci che non si vendono neppure sul mercato dell’usato.
Occorre, quindi, che il governo incrementi gli incentivi economici e fiscali per accelerare una transizione automobilistica all’interno di quelle energetica ed ecologica. Un aiuto ai proprietari di queste macchine ormai antiquate è anche un sostegno all’industria automobilistica e quindi all’occupazione del settore. Ma diventa necessario anche per combattere l’inquinamento e il riscaldamento globale, tutelando la salute dei cittadini.
La questione, per di più, non riguarda soltanto le quattroruote. Purtroppo, la situazione è analoga per i veicoli commerciali e per gli autobus. Nel primo caso, si legge ancora sul quotidiano romano, “l’Italia è sempre in testa con 2.746.415 esemplari” con più di dieci anni, seguita da Francia (2.733.704), Regno Unito (2.062.639) e Germania (1.019.188). Nel nostro Paese, i camion over ten years risultano ben 722.890 rispetto ai 302.838 del Regno Unito, ai 216.727 della Francia e ai 175.311 della Germania. “Le quantità sono talmente distanti – commenta l’autore dello stesso articolo sul Messaggero – che si spiegano soltanto con il fatto che buona parte dei trasporti di merci all’estero non corra su gomma, ma su ferro o su vie acquatiche”.
E infine, gli autobus: i mezzi di trasporto pubblico che, in carenza di linee metropolitane, vengono più usati dai cittadini per andare al lavoro e dagli studenti per recarsi a scuola o all’università. Anche qui l’Italia detiene il primato dei mezzi più vecchi: 66.735 bus, contro i 42.391 del Regno Unito, i 26.770 della Germania e i 19.566 della Francia. Conclude giustamente il giornalista: “Un panorama, insomma, che inchioda la politica e i governi italiani che si sono succeduti in questi anni alle loro responsabilità, alle quale sarà possibile sottrarsi soltanto affrontando con rapidità e convinzione la transizione energetica”.
La via maestra – è proprio il caso di dirlo – resta quella del passaggio alla cosiddetta mobilità elettrica: auto, moto, motorini, autobus, furgoni, camion e camioncini. E anche monopattini, a condizione che circolino regolarmente nelle strade piuttosto che sui marciapiedi o nelle isole pedonali. A Lisbona, prima capitale europea in cui sono stati sperimentati, cominciano ad apparire cartelli di protesta da parte dei cittadini che non possono più camminare liberamente. Ma per incrementare l’elettrificazione dei mezzi urbani è necessario contemporaneamente rendere più diffusa e capillare la rete delle “colonnine”, come sta facendo da tempo l’Enel che attraverso la consociata Enel X Way ha installato finora 16.088 punti di ricarica pubblici e 25.817 privati su tutto il territorio nazionale (foto sopra).
PERCHE’ RALLENTARE LA TRANSIZIONE ALL’AUTO ELETTRICA E’ UNA SCELTA PERDENTE PER L’ITALIA – di Gianni Silvestrini, direttore del Kyoto Club (da QualeEnergia.it):