Fra tutte le fonti rinnovabili, pulite e non inquinanti, che conosciamo – sole, vento, idroelettrico – ce n’è una che invece utilizziamo ancora poco o niente: quella del mare. Cioè, il moto delle onde e delle maree. È una grande “centrale” sommersa a cui una Penisola come la nostra potrebbe accedere gratuitamente. Mentre il “piccolo” Portogallo ha già installato da anni turbine subacquee lungo la sua costa affacciata sull’oceano Atlantico, l’Italia invece abbandona gli impianti già progettati e avviati.
È il caso della start up W4E, denunciato dal giornalista Stefano Vergine in un articolo sul quotidiano Domani. L’azienda green sarebbe stata “sedotta e abbandonata” dall’Eni che replica: “Accuse false”. E ora si annuncia una battaglia legale fra Davide e Golia.
La storia inizia il 28 ottobre 2019, sotto il secondo governo di Giuseppe Conte che partecipò alla presentazione del progetto a Ravenna. Era stata annunciata come una “importante collaborazione strategica” e lo stesso Eni la descriveva così: “I vantaggi per l’Italia sono notevoli, in quanto l’energia da moto ondoso può essere utilizzata sfruttando lo sviluppo costiero del Paese”. L’biettivo dichiarato era quello di installare entro il 2025 “118 dispositivi” in Italia, tra la Sardegna e le isole minori.
La W4E, uno spin off del Politecnico di Torino che è stata appena messa in liquidazione, sostiene di essere stata spinta “verso il collasso” dall’Eni, “abusando della posizione di dominanza e sfruttando comunicativamente tutto quello che poteva della partnership”. Ma la multinazionale respinge queste critiche, spiegando di aver deciso di sospendere lo sviluppo del progetto perché le attività di ricerca e i test effettuati “hanno evidenziato la mancanza dei presupposti tecnico-economici per poter considerare al momento concrete prospettive di scalabilità industriale della tecnologia”.
Il sistema presentato dalla W4E, come racconta lo stesso giornalista nel suo articolo, si chiama Iswec. È “basato su un impianto composto da uno scafo galleggiante che contiene al suo interno un giroscopio e un generatore”. In pratica, una grande zattera con dentro una specie di trottola che trasforma il movimento del mare in elettricità”. Per l’IEA (Agenzia internazionale dell’energia), “nel 2023 Iswec era uno dei 20 progetti più significativi al mondo nel suo genere”.
Fatto sta che la cosiddetta “energia mareomotrice”, chiamata anche “energia marina”, prodotta senza l’utilizzo dei combustibili fossili, viene studiata e sperimentata in tutto il pianeta. Si presenta sotto varie forme. Le più diffuse, elencate dal sito Vivi Energia, sono:
- Energia delle correnti marine: viene prodotta meccanicamente grazie alle pale azionate dalla forza delle correnti oceaniche, come avviene per l’energia eolica;
- Energia cimoelettrica (o energia delle onde): è quella prodotta dal moto ondoso e consiste nella conversione dell’energia cinetica delle onde in corrente elettrica;
- Energia talassotermica: è prodotta dalla variazione di temperatura tra la superficie marina e l’acqua in profondità;
- Energia osmotica: nota anche come energia a gradiente salino, viene ricavata dalla differenza nella concentrazione del sale fra l’acqua marina e l’acqua dolce.
Non risulta finora che, dopo aver abbandonato il progetto con W4E, l’Eni ne abbia promossi e realizzati altri analoghi. Nel frattempo, come ha scritto Nicola Borzi sul Fatto Quotidiano, la multinazionale “vuole la grande torta dei biocarburanti tutta sola per sé”, puntando a raddoppiare la produzione in Italia. Spiega lo stesso giornalista: “I biocarburanti, come il biodiesel, sono ottenuti a materie organiche rinnovabili (piante, alghe e rifiuti) e miscelate ai fossili per ridurne l’impronta carbonica”. E sullo stesso giornale, Carlo Di Foggia annuncia che il colosso guidato da Claudio Descalzi ha investito 113 milioni di euro nel gruppo Bonifiche Ferraresi, una creatura della galassia Coldiretti che detta legge nell’agricoltura. Al mare, insomma, l’Eni preferisce la campagna.