Tre nuove figure, scomparse nel corso del tempo, sono riapparse nel Martirio di sant’Orsola di Caravaggio, capolavoro delle collezioni di Intesa Sanpaolo, a seguito di un importante lavoro di pulitura. L’intervento è stato eseguito in vista della mostra Caravaggio 2025 in programma dal 7 marzo al 6 luglio 2025 a palazzo Barberini di Roma, in coincidenza con il Giubileo. Tre teste sono emerse così in quello che è considerato l’ultimo dipinto di Michelangelo Merisi, realizzato nel 1610 poco prima della sua morte.
La revisione conservativa ha riportato colori e forme all’originaria nitidezza e brillantezza. I lavori sono stati realizzati dalle restauratrici Laura Cibrario e Fabiola Jatta presso il laboratorio di restauro delle Gallerie d’Italia di Napoli, museo di Intesa Sanpaolo, dove il dipinto è solitamente esposto.
A destra di Attila, il re unno rifiutato da Orsola, è comparsa la punta del naso di un soldato e il perimetro del suo elmo, un volto che prima non si vedeva. Sono emersi inoltre nuovi dettagli della figura, forse un pellegrino, che indossa un cappello. Sopra la testa di Sant’Orsola si comprende oggi quello che era un elemento di funzione incerta: si tratta dell’elmo di un armigero con fessura per gli occhi. Tre figure arricchiscono quindi la tela e il racconto del dramma di Sant’Orsola.
Con l’occasione, l’opera s’è arricchita anche di una nuova cornice secentesca che è stata adattata al climaframe realizzato per garantire una conservazione ottimale.
Commenta Michele Coppola, Executive Director Arte Cultura e Beni storici di Intesa Sanpaolo e Direttore Generale delle Gallerie d’Italia: “La responsabilità di avere in collezione l’ultimo dipinto di Caravaggio impone il coinvolgimento dei migliori studiosi, dei massimi esperti e delle imprese private con le maggiori competenze tecniche, nella consapevolezza di prendersi cura di un pezzo di patrimonio universale. Ogni decisione è presa insieme a Sovrintendenza e Ministero. Il restauro conservativo, la cura attenta, la nuova cornice e una migliore protezione permettono al pubblico di conoscere sempre meglio il valore delle collezioni di Intesa Sanpaolo”.
LA STORIA. Il Martirio di sant’Orsola è un dipinto a olio su tela (143 × 180 centimetri) eseguito nel 1610 da Caravaggio e conservato presso le Galleria d’Italia-Palazzo Zevallos Stigliano, sede museale di Intesa Sanpaolo a Napoli.
L’opera è di fatto l’ultima pittura del Merisi essendo stata realizzata poco più di un mese prima della sua morte. Commissionato dal principe Marcantonio Doria (la cui famiglia aveva per protettrice proprio Sant’Orsola), il dipinto fu eseguito dal Caravaggio con molta rapidità, probabilmente perché questi era in procinto di partire per Porto Ercole, ove avrebbe dovuto compiere le formalità per essere graziato dal bando capitale.
Durante quel viaggio, com’è noto, il pittore trovò la morte. La fretta fu tale che la tela uscì dal suo studio ancora fresca di vernice e, non essendo perfettamente asciutta alla consegna, fu esposta incautamente al sole: circostanza che ne determinò una sofferta conservazione.
Il dipinto ritornò a Napoli nella prima metà dell’Ottocento, pervenendo per via ereditaria al ramo Doria dei principi d’Angri e successivamente, circa un secolo dopo, ai baroni Romani Avezzano d’Eboli. E in seguito fu acquistato, come opera di Mattia Preti, dalla Banca Commerciale Italiana nel 1972.
Dopo alterne vicende attributive, la reale paternità dell’opera e la sua fondamentale posizione storica furono definitivamente chiarite soltanto nel 1980, grazie al ritrovamento, nell’archivio Doria D’Angri, di una lettera scritta a Napoli il 1º maggio 1610 da Lanfranco Massa, cittadino genovese e procuratore nella capitale partenopea della famiglia Doria, indirizzata a Genova per Marcantonio Doria, figlio del Doge Agostino: “Pensavo di mandarle il quadro di Sant’ Orzola questa settimana – si legge nel testo – però per assicurarmi di mandarlo ben asciuttato, lo posi al sole, che più presto ha fatto revenir la vernice che asciugatole per darcela il Caravaggio assai grossa: voglio di nuovo esser da detto Caravaggio per pigliar suo parere come si ha da fare perché non si guasti“.
Ai travagli patiti nei secoli dalla tela – guasti, ampliamenti, ridipinture, che ne avevano profondamente alterato la leggibilità e la chiarezza iconografica – ha posto finalmente rimedio l’importante restauro promosso da Intesa Sanpaolo e condotto tra il 2003 e il 2004 presso l’Istituto Superiore per la Conservazione ed il Restauro di Roma, che ha ripristinato l’originaria coerenza dell’immagine, ora più fedele e prossima alle intenzioni dell’autore.
Tra le principali novità apportate da questo complesso intervento nella lettura del dipinto, va segnalato il recupero del braccio e della mano tesa di un personaggio che tenta invano – con forte accentuazione nella carica drammatica della scena – di arrestare la freccia scoccata dal carnefice; poi, nel fondo, la presenza di un tendaggio che suggerisce un’ambientazione nell’accampamento del re unno; e infine le sagome di un paio di teste dietro il piano della santa.
DESCRIZIONE DELL’OPERA. Come sua consuetudine, il Caravaggio si discosta dall’iconografia tradizionale di Sant’Orsola, generalmente ritratta coi soli simboli del martirio e in compagnia di una o più vergini sue compagne. Sceglie invece di raffigurare il momento stesso in cui la santa, avendo rifiutato di concedersi al tiranno Attila, viene da lui trafitta con una freccia, caricando la scena di un tono squisitamente drammatico. Il dipinto è ambientato nella tenda di Attila, appena discernibile grazie al drappeggio sullo sfondo, che funge quasi da quinta teatrale.
L’intero ambiente, come consuetudine nei dipinti caravaggeschi, è permeato da un complesso gioco di luci e ombre, che tuttavia in quest’ultimo dipinto dell’artista sembra dar vantaggio più alle seconde che le prime: è un riflesso del travagliato periodo che l’autore stava vivendo nella parte finale della sua vita.
Il primo personaggio a sinistra è lo stesso Attila, raffigurato con abiti secenteschi; il barbaro ha appena scagliato la freccia e sembra essersi già pentito del suo gesto: sembra quasi allentare la presa sull’arco e il suo volto è contratto in una smorfia di dolore, quasi a dire “che cosa ho fatto?”.
A poca distanza da lui c’è Sant’Orsola, trafitta dalla freccia appena visibile sul suo seno: la santa sta piegando la testa in quella direzione e con le mani sta spingendo indietro il petto come per meglio vedere lo strumento del suo martirio. Non sembra provare dolore, piuttosto una disinteressata rassegnazione. Ma il suo volto e le mani bianchissime rispetto a quelli degli altri personaggi preludono alla sua morte immediata.
Tre barbari, anche loro in abiti moderni (uno indossa addirittura un’armatura di ferro), stanno accorrendo infatti a sorreggere Sant’Orsola: anch’essi sembrano increduli di fronte al gesto repentino e impulsivo del loro capo. Nelle fattezze di colui che si trova dietro le spalle della santa, Caravaggio ha raffigurato sé stesso con la bocca dischiusa e l’espressione dolorante: e sembra ricevere la trafittura insieme a lei.