STOP ALLE RINNOVABILI: IMPIANTI BLOCCATI, GOVERNO CORRE AI RIPARI

Entro il fatidico 2030, anno indicato dall’Unione europea per ridurre del 50% le emissioni nocive, l’Italia dovrebbe produrre – secondo gli impegni assunti – 79 gigawatt di energia da fonti rinnovabili. Ma oggi ne realizziamo meno di un gigawatt all’anno (0,8 Gw), nonostante che le richieste di concessione presentate a Terna – l’operatore che gestisce le reti – arrivino a 146 gigawatt, più del doppio di quanto previsto. Perché, dunque, l’Italia è così indietro? Lo spiegano, dati alla mano, Milena Gabanelli e Fabio Savelli in un articolo pubblicato sul Corriere della Sera.

Nell’inventario degli impianti autorizzati e fermi, la Puglia si colloca al primo posto con 396 bloccati da otto anni. Nel Lazio, il ministero della Cultura ne ha stoppati altri 126, per un totale di 5,9 miliardi di euro da spendere. E altri 40, per 6 gigawatt, sono in attesa a palazzo Chigi di una decisione del governo. Il risultato complessivo è che nel 2020 sono stati installati appena l’1,3% degli impianti richiesti fin dal 2014.

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La spiegazione di questo stallo burocratico e amministrativo parte dalle autorizzazioni. “Per approvare un parco eolico o fotovoltaico – scrivono gli autori dell’articolo – servono cinque passaggi”: 1) la Via (Valutazione di impatto ambientale) del ministero Ambiente; 2) la Via regionale; 3) il nulla osta della Conferenza dei servizi; 4) l’autorizzazione per l’impatto specifico; 5) la licenza di officina elettrica. E poi, se tutto va bene, altri sei adempimenti per connettere l’impianto alla rete di Terna. In totale, 11 “caselle” in un infernale “gioco dell’oca”.

ARCHIVIO FOTOGRAFICO INTERNAZIONALE ENEL ENEL INTERNATIONAL PHOTOGRAPHIC ARCHIVE Tula (provincia di Sassari), aprile 2007: Centrale Eolica ''Sa Turrina Manna''. Un tecnico su uno dei crinali dove sono poste le torri eoliche

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Tula (provincia di Sassari), aprile 2007:
Centrale Eolica ”Sa Turrina Manna”.
Un tecnico su uno dei crinali dove sono poste le torri eoliche

“Alzare una pala eolica – spiegano in tono critico Gabanelli e Savelli – può complicare il volo degli uccelli, o deturpare la vista dei nuraghi, come è successo in provincia di Sassari, dove è sfumato l’investimento di 130 milioni della Erg”. La stella polare dovrebbe essere la direttiva europea sul paesaggio. Ma l’interpretazione di questo criterio è discrezionale e spesso arbitraria.

Nello stesso articolo del Corsera, si legge: “Un altro ostacolo che scoraggia gli investimenti è il divieto di accumulo: la legge impedisce al distributore di energia di stoccare quella prodotta da fonti rinnovabili”. Accade così che, quando c’è molto vento e si produce più energia di quanto necessario, quella in eccesso venga buttata via , causando da una parte un mancato ritorno dell’investimento e dall’altra una riduzione dell’energia disponibile. Le conseguenze sono due: 1) scarsa partecipazione alle aste bandite da Terna per i grandi impianti, tant’è che nel 2019 le prime tre aste sono andate deserte; 2) aumenti dei prezzi medi di assegnazione, con l’eolico passato da 57 a 68 euro a megawattora.

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Ora, però, sembra aprirsi uno spiraglio per velocizzare queste procedure. Il ministro della Transizione ecologica, Roberto Cingolani (nella foto sopra), ha dato sei mesi di tempo alle Regioni per individuare le aree idonee all’installazione degli impianti. Si tratterà di scegliere fra quelle già sfruttate, ma deteriorate, nei siti industriali abbandonati; e fra i terreni agricoli dimenticati. Secondo una stima del Politecnico, l’installazione di 30 gigawatt richiederebbe l’uso di 460 chilometri quadrati di territorio: meno del 4% delle aree agricole inutilizzate. Nel frattempo, il decreto Semplificazioni ha già cominciato a velocizzare le autorizzazioni, mentre il PNRR (Piano nazionale di ripresa e resilienza) ha introdotto una corsia preferenziale che a sua volta semplifica le procedure. I tempi per installare gli impianti di energia rinnovabile, quindi, dovrebbero passare dai sei anni di oggi a 260 giorni.

 

 

 

 

 

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