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STESSA SPIAGGIA, STESSO MARE

L’ultima scadenza, tassativa e inderogabile, era stata fissata al 31 dicembre 2023. Poi, il governo ha concesso una deroga di un anno in caso di “difficoltà oggettive e documentate da parte dei Comuni costieri”. Ma è passato anche il 2024 e ora si attende entro il 31 marzo l’approvazione del decreto attuativo sugli indennizzi ai gestori degli impianti balneari che dovrebbe sbloccare l’impasse (la foto in alto è tratta dal sito “Mondo Balneare”).

La questione delle concessioni era stata già definita nel 2006 dalla direttiva europea firmata dal commissario Frits Bolkestein, in forza della normativa sulla concorrenza. Ed è relativamente semplice: le spiagge appartengono al demanio di ciascun Paese e quindi vanno messe a gara. Altrettanto chiaro è il fatto che gli ex concessionari hanno diritto a un indennizzo economico per gli investimenti effettuati e non ancora ammortizzati.

In Italia, i vari governi che si sono succeduti da allora non hanno fatto altro che prorogare di anno in anno la scadenza originaria. E di fronte a questi continui rinvii, è intervenuta anche l’Agcm, la nostra Autorità di garanzia sul mercato e sulla concorrenza, per dichiarare che non era più ammessa alcuna deroga.

Ma, evidentemente, la “lobby dei balneari” è tanto forte sul piano elettorale da indurre il vicepremier e ministro dei Trasporti e delle Infrastrutture, Matteo Salvini, a cavalcare la protesta predisponendo un decreto “salva-infrazioni” in modo da individuare i criteri per una “equa remunerazione” e tutelare gli interessi dei gestori. Con questo provvedimento, il governo punta a disporre che le gare pubbliche per l’assegnazione delle concessioni vengano indette entro il 30 giugno 2027.

A rimetterci, in questo braccio di ferro, sono sicuramente i cittadini che si apprestano ancora una volta ad affrontare la nuova stagione estiva senza la certezza di poter disporre liberamente delle spiagge e di pagare i servizi (ombrelloni, sedie a sdraio, lettino, bagni e docce) il giusto prezzo stabilito dal mercato. Con oltre ottomila chilometri di coste, l’Italia sarebbe in grado di offrire un’adeguata ospitalità al popolo dei vacanzieri e dei turisti. Ma bisogna individuare anche una percentuale corretta dei lidi da assegnare in concessione rispetto all’intero litorale.

Non è un mistero per nessuno che finora i gestori degli stabilimenti hanno versato canoni irrisori allo Stato. E nel 2024, in base all’inflazione, sono stati più bassi del 4,5% rispetto all’anno precedente: il canone minimo è sceso da 3.377,50 euro a 3.225,50 all’anno. Ma il ministero ha precisato che questi dati riguardano solo un numero esiguo di concessioni e non si riferiscono agli stabilimenti balneari, bensì altre tipologie di utilizzo di micro-porzioni di demanio marittimo, come per ormeggi, gavitelli, vialetti d’accesso al mare e attività no-profit.

Fatto sta che lo Stato incassa in totale poco più di 100 milioni di euro all’anno, mentre il giro d’affari complessivo dei gestori è stato stimato intorno ai 15 miliardi. Un esempio per tutti: il lido “L’Ultima Spiaggia” di Capalbio, fra i più conosciuti della Toscana, un ombrellone costa sui 55 euro al giorno, che per quattro mesi estivi di stagione balneare corrispondono a un incasso di oltre 6 mila euro. Secondo i dati di Legambiente, il canone annuo che lo stabilimento corrisponde allo Stato è di 6.098 euro.

È solo l’apertura al mercato e alla concorrenza, dunque, che può determinare costi e ricavi più equi per tutti. Ma, dalla direttiva Bolkestein a oggi, sono ormai quasi vent’anni che l’Italia non si adegua. E intanto aumenta il rischio di infrazioni da parte dell’Unione europea.

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