LE SPIAGGE REGALATE: SCANDALO CONCESSIONI

LE SPIAGGE REGALATE: SCANDALO CONCESSIONI

Poco più di 100 milioni di euro all’anno a fronte di un giro d’affari stimato in almeno 2 miliardi. È quanto incassa lo Stato italiano per le 25mila concessioni demaniali marittime, distribuite sui circa 8mila chilometri di coste. In pratica, gli stabilimenti balneari pagano in media 4.200 euro, cioè 6 euro all’anno a metro quadrato di litorale. Ma, secondo un’inchiesta del Fatto Quotidiano, il 70% paga meno di 2.500 euro. Vero è che i gestori offrono servizi a pagamento come cabine, spogliatoi, bagni, docce, ombrelloni, sedie a sdraio o lettini, ma il fatto è che le coste appartengono appunto al Demanio e quindi l’accesso alle spiagge dovrebbe essere libero per consentire a tutti di raggiungere la fascia del bagnasciuga e il mare.

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Purtroppo, in realtà non è quasi mai così e non sempre gli stabilimenti dispongono di un “corridoio” free per rispettare queste norme. Le spiagge completamente libere in Italia sono poche, in genere di difficile accesso, situate nelle zone più impervie e più scomode. È lo Stato, piuttosto, che le “regala” ai gestori degli stabilimenti a prezzi che – come abbiamo visto – sono praticamente irrisori. Le nostre spiagge, insomma, sono “gratis” soltanto per chi le gestisce.

Per paradosso, le spiagge del Nord rendono di più rispetto a quelle del Sud, pur essendo queste ultime più favorite per fattori climatici. Secondo i dati forniti dal Ministero dell’Economia, le regioni che più versano soldi allo Stato queste: Toscana (11 milioni e 662 mila), Liguria (11 milioni e 242 mila), Lazio (10 milioni e 431 mila), Veneto (9 milioni e 527 mila), Emilia Romagna (8 milioni e 898 mila) Sardegna (7 milioni e 772 mila). Puglia (7 milioni e 167 mila) e Calabria (5 milioni e 111 mila).

La Sicilia rappresenta un caso a parte. I mille chilometri di coste siciliane “fruttano” al Demanio appena 81mila euro all’anno. Ma in realtà la Regione incassa 9 milioni e 442mila euro dai canoni delle concessioni marittime. È lo Statuto regionale siciliano, infatti, a prevedere venga trattenuta la maggior parte delle risorse provenienti dai canoni.

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Questa situazione avrebbe dovuto essere sanata già da tempo, all’insegna dell’imparzialità e della trasparenza. Il 2020 era l’anno in cui le concessioni balneari dovevano andare a gara, ma a causa del Covid a dicembre scorso la scadenza è stata prorogata di un anno. Ma intanto nella legge di bilanci0 2019, votata dal governo gialloverde composto da Movimento 5 Stelle e Lega – il termine ultimo è stato spostato di 15 anni, fino al 2034. Sebbene dichiarata illegittima da numerose sentenze emesse dai tribunali amministrativi e dal Consiglio di Stato, la proroga continua però a essere rivendicata dalle associazione dei gestori, sfidando i Comuni che invece vorrebbero osservarla per adeguare i canoni a carico dei concessionari.

Un decreto dell’agosto 2020 ha elevato l’importo minimo da 364 a 2.500 euro, abrogando però i pagamenti dovuti per gli stabilimenti che hanno pertinenze. “Così – ha commentato Edoardo Zanchini, vicepresidente di Legambiente e autore del Rapporto Spiagge 2020 –  di fatto a pagare di più saranno soprattutto i piccolo gestori”. Il “Twiga” di Forte dei Marmi, per esempio, con i suoi 4 milioni di fatturato all’anno continua a pagare un canone di poche migliaia di euro, sebbene il proprietario Flavio Briatore si è dichiarato disponibile a versare fino a 100mila euro. A parere di Zanchini, è necessario a questo punto cambiare la legge del 1993 che regola le concessioni: “Mentre ora i canoni vanno allo Stato bisogna prevedere un’entrata per il Comune, affinché investa nel miglioramento dell’offerta turistica e introduca servizi di accessibilità”.

 

 

 

 

 

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