SPIAGGE D’ORO: LE POLEMICHE SULLE CONCESSIONI DEMANIALI AI BALNEARI

SPIAGGE D’ORO: LE POLEMICHE SULLE CONCESSIONI DEMANIALI AI BALNEARI

EDITORIALE

C’era una volta il “governo balneare”. Era un esecutivo a breve termine, transitorio, destinato a durare lo spazio di un’estate per superare una delle tante crisi che affliggevano la cosiddetta Prima Repubblica. Ma ora rischia di passare per “balneare” anche il governo Draghi che, per sopravvivere a se stesso, è disposto a un compromesso sulle concessioni delle spiagge ai privati.

Una pletora di 12.166 concessioni a uso turistico (2021). Un giro d’affari di 15 miliardi di euro, su beni che appartengono al demanio pubblico come i litorali e le spiagge. Un incasso medio per lo Stato di 101 milioni all’anno nel periodo 2016-2020, dieci volte meno di quanto effettivamente dovuto, pari allo 0,6% del fatturato. Un furto legalizzato ai danni della collettività, come ha scritto la Corte dei Conti denunciando che “i canoni attualmente imposti non risultano proporzionati ai fatturati conseguiti dai concessionari”.

Per questa stagione, intanto, il Centro studi del Consumerismo prevede aumenti del 32%. In pratica, rispetto all’anno scorso, il prezzo di un ombrellone, lettino e sdraio passerà in media da 25 a 30 euro. Ma anche le bevande, il caffè e i gelati aumenteranno negli stabilimenti del 10%. Tanto da far rimpiangere le spiagge “libere”, sempre più rare, come quella ritratta nella suggestiva foto d’autore di Giovanna Nuvoletti, scattata in questi giorni nella bassa Maremma e postata su Twitter (qui sotto).

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Foto di Giovanna Nuvoletti – Bassa Maremma

“Spiagge d’oro: 15 miliardi ai privati, allo Stato solo lo 0,6%”, abbiamo titolato qualche mese fa, riprendendo un’inchiesta di Carlo Di Foggia e Marco Palombi pubblicata sul Fatto Quotidiano. La questione riguarda anche le autostrade e le acque minerali. Ma in un Paese come l’Italia, con oltre 8mila chilometri di coste, quello delle spiagge diventa uno scandalo nello scandalo perché i gestori pagano poco e incassano molto di più per i servizi che offrono (cabine, ombrelloni, sdraio e lettini), aumentando i prezzi di anno in anno, di stagione in stagione. E perciò, ripetiamo ancora lo stesso titolo “Spiagge d’oro”.

Il fatto è che i “balneari” sono incappati nel disegno di legge sulla concorrenza che il governo Draghi s’è impegnato ad approvare, per ottenere i fondi europei del Next generation Ue (209 miliardi di euro). E non può perdere né la faccia né i soldi. Per questo motivo, il presidente del Consiglio aveva lanciato un ultimatum al Parlamento, e quindi alle forze politiche, per sollecitare l’approvazione del provvedimento entro il mese di maggio, lasciando intendere che altrimenti sarebbe ricorso al voto di fiducia in Parlamento paventando le dimissioni in caso di sconfitta. Alla fine, però, il “governo dei Migliori” ha accettato la soluzione peggiore: le gare per l’assegnazione delle concessioni dovranno essere avviate “entro il 31 dicembre 2023”, ma i Comuni potranno rinviarle fino all’ultimo giorno dell’anno successivo per “difficoltà oggettive” o in “presenza di un contenzioso”.

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Fino al 1977, era lo Stato a governare sulle spiagge. Poi sono intervenute le Regioni, dispensando le concessioni spesso secondo criteri arbitrari o clientelari. Ma nel 2006 è arrivata dall’Ue la controversa Direttiva Bolkestein (dal nome dell’economista e politico olandese Frederik “Frits” Bolkestein) che ha stabilito la messa a gara delle concessioni.

Da allora in poi, di fronte al muro innalzato dai gestori contro le aste, i governi italiani non hanno fatto che approvare proroghe a loro favore, eludendo di fatto la normativa europea. Sostenuti da alcune forze politiche, e in particolare da Forza Italia e soprattutto dalla Lega di Matteo Salvinihabituè e santo protettore del “Papeete Beach” di Milano Marittima (nelle foto sotto), i concessionari si sono opposti alla Direttiva invocando i propri diritti acquisiti. Fatto sta che già nel 2008 la Commissione europea ha aperto una procedura d’infrazione contro l’Italia, poi revocata perché l’Italia aveva abolito nel frattempo il “diritto di insistenza”, cioè la preferenza accordata al gestore titolare della concessione al momento del rinnovo.

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La svolta è arrivata nel 2016, quando la Corte di Giustizia europea giudicò la legislazione italiana contraria al diritto comunitario, come del resto aveva già fatto la nostra Consulta. Fatto sta che nel 2019 il governo giallo-verde, composto dai Cinquestelle e dalla Lega, ha prorogato di altri 15 anni il regime in atto (2033). E infine, sotto la pressione della Lega, il governo Draghi ha preso tempo con il cosiddetto “ddl Concorrenza” fino a che s’è pronunciato il Consiglio di Stato per mettere fine a un tale scandalo, sancendo l’illegittimità di ogni proroga e fissando la scadenza delle concessioni al 2023. Ma ora tutto è rinviato di almeno uno o due anni, poi si vedrà.

È paradossale che una risorsa naturale come le spiagge possa diventare per la Penisola un pomo della discordia. Tanto da compromettere le stesse sorti del governo. A maggior ragione nel momento in cui siamo riusciti finalmente ad approvare la “legge Salvamare”, per salvaguardare la qualità delle acque e proteggere l’ambiente e la salute. Ma tant’è.

Approvata dopo quattro anni di attesa, questa legge rafforza la tutela della biodiversità, consentendo ai pescatori di raccogliere e portare a terra la plastica recuperata con le reti, piuttosto che scaricarla in mare. Ciò che prima configurava il reato di trasporto illecito dei rifiuti. Una vittoria degli ambientalisti, dunque, nell’interesse di tutti i cittadini.

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Spiagge, mare e plastica. Ecco una “filiera” che riassume le contraddizioni del Malpaese, fra concessioni a buon mercato, prezzi alle stelle e inquinamento dell’acqua. E tutto questo, mentre il turismo accenna a riprendersi dopo il lockdown della pandemia e la guerra Russia-Ucraina minaccia di provocare una crisi economica, energetica e alimentare su tutto il pianeta. Tra gli aumenti del gas e del petrolio, del grano, del masi e del latte, la natura intanto si vendica con il cambiamento climatico e l’innalzamento delle temperature.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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