“Ogni cinque secondi nel mondo una superficie di suolo grande come un campo di calcio viene erosa”. A lanciare l’allarme è Maurizio Martina, vicedirettore generale della Fao, l’organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura, in un intervento pubblicato sul settimanale L’Espresso. E lui stesso spiega: “Il degrado dei suoli rappresenta una grave minaccia per la sicurezza alimentare e per il raggiungimento concreto degli obiettivi di sviluppo sostenibile compromettendo il benessere di oltre tre miliardi di persone”. Da qui, la previsione che entro i prossimi sessant’anni rischiamo di perdere tutta la terra fertile e coltivabile.
Nel suo articolo, l’ex segretario del Pd ed ex ministro delle Politiche agricole nei governi Renzi e Gentiloni, dedica poi un “focus” in particolare al nostro Paese: “In Italia il 28% dei terreni coltivabili è andato perso nell’ultimo quarto di secolo, mentre a livello globale un terzo dei suoli è soggetto a degradazione”. Se consideriamo che circa il 95% del cibo che produciamo e mangiamo ogni giorno proviene, direttamente o indirettamente, dai nostri suoli “dovremmo comprendere che tutelare la salute della terra diventa oggi più che mai vitale per tutelare la nostra stessa vita e il futuro del pianeta”.
Le minacce da fronteggiare sono diverse: l’erosione, l’acidificazione, l’inquinamento chimico e l’impoverimento dei nutrienti dei suoli. E perciò la stessa Fao ha evidenziato recentemente i dati relativi alla salinizzazione e alla sodificazione dei terreni, fenomeni che riguardano l’8,7% dei suoli mondiali e cioè più di 833 milioni di ettari di terreno ormai aridi o semi-aridi, con una perdita di produzione pari a oltre 27 miliardi di dollari. Questa tendenza minaccia di ripercuotersi anche sui flussi migratori, costringendo le popolazioni più povere ad abbandonare terre ormai improduttive.
Il vicedirettore generale della Fao auspica quindi l’adozione di pratiche virtuose, come l’agricoltura di precisione, l’agroecologia, l’agricoltura biologica, l’agricoltura di conservazione e l’agroselvicoltura. Un dato su tutti: in Europa vengono gettati 64 milioni di tonnellate di rifiuto organico nelle discariche o negli inceneritori invece di essere riutilizzati come concime per rigenerare i suoli. “La transizione ecologica – conclude Martina – impone un salto di qualità complessivo del sistema e dei comportamenti di cittadini, imprese, istituzioni e sarà sempre più forte il bisogno per le comunità locali di aumentare la propria responsabilità nella cura dei suoli”.
Sullo stesso argomento va registrato un altro articolo a firma di Raffaele Milani, direttore del Laboratorio di ricerca sulle città e i paesaggi dell’Università di Bologna, apparso sul quotidiano cattolico Avvenire sotto il titolo “Facciamo per le campagne ciò che ora si fa per le città”. A suo avviso, “alla rapacità edilizia che si estende enormemente a danno della campagna bisogna opporre un disegno di rinaturalizzazione dei terreni incolti e degradati”. E quindi, “perché insieme, istituzioni e cittadini, non provano a creare vie giardino, vie orti, sentieri naturali che tornano verso la città in uno splendore di alberi, piante, fiori?”.
La proposta operativa di Milani è di intervenire “con un piano di finanziamenti simili a quelli adottai dal governo per l’edilizia cittadina”, a partire dal patrimonio dell’architettura rurale spesso abbandonata e degradata. L’auspicio, insomma, è che lo Stato intervenga come sta facendo nelle città con i vari bonus e superbonus. “Nobilitare l’architettura rurale – afferma infine l’autore dell’articolo – implica il nobilitare l’arte dell’agricoltura in generale”.