Con il decreto che vieta dal prossimo 1° agosto il passaggio delle grandi navi da crociera nella Laguna di Venezia, e in particolare nel canale della Giudecca e nel bacino di San Marco, il governo Draghi ha ridotto da 40.00 a 25.000 tonnellate di stazza il limite massimo già stabilito nove anni fa dai ministri Clini e Passera (governo Monti). Ma quel provvedimento d’urgenza è rimasto da allora sospeso e inapplicato in attesa della definizione di soluzioni alternative. Nel frattempo, si sono moltiplicati gli allarmi e gli appelli da parte degli esperti e degli ambientalisti, nel timore di incidenti che potrebbero compromettere il delicato equilibrio del sistema marino e della Serenissima.
Attualmente navigano nel canale della Giudecca e nel bacino di San Marco imbarcazioni di 120.000 – 130.000 tonnellate di stazza lorda, lunghe più di tre campi di calcio, grandi come palazzi di sette od otto piani, fino a 60 metri di altezza. Ne transitano più di mille all’anno, esponendo la città a gravi rischi, anche d’inquinamento; dissestando, con il loro passaggio, i canali della laguna; mettendo a repentaglio l’ecosistema marino dell’intera area. Un patrimonio di questa rilevanza non può continuare a essere messo in pericolo per gli interessi di un settore come quello della crocieristica che, naturalmente, va salvaguardato per tutelare innanzitutto l’occupazione, ma deve svolgere la sua attività nel rispetto dei vincoli ambientali.
In una lettera inviata il 3 giugno scorso al presidente della Repubblica da Venetian Heritage, uno dei comitati privati che finanziano restauri nella città lagunare, si chiede all’Italia di intervenire con urgenza per “salvaguardare un bene così fragile dell’umanità come la città di Venezia”. L’appello contiene anche un Decalogo ed è firmato da numerosi personaggi internazionali della Cultura e dello Spettacolo, tra cui la rockstar Mick Jagger, il regista Francis Ford Coppola, attori e attrici come James Ivory e Tilda Swinton, oltre al direttore del Guggenheim Museum di New York Richard Armstrong. “Occorre uno statuto speciale per Venezia, una legge che ne tuteli non solo l’integrità fisica, ma anche l’identità culturale”, si afferma nel testo: “Deve esser preservato non solo l’immenso patrimonio artistico, ma anche la vita cittadina che conferisce l’anima a questa città inimitabile”.
È tanto vero che Venezia non appartiene solo al nostro Paese che ora l’Unesco, l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Educazione, la Scienza e la Cultura, si appresta a lanciare una sorta di ultimatum al governo italiano. La Serenissima fu iscritta nel 1987 nell’elenco dei siti dichiarati Patrimonio mondiale dell’Umanità e in questi 34 anni la stessa Agenzia ha già lanciato diversi richiami per le promesse non mantenute e gli impegni disattesi, soprattutto in merito allo stato di conservazione della città, al regime delle acque e al funzionamento del Mose, al flusso dei turisti.
In un puntuale e documentato articolo apparso sul Fatto Quotidiano, il giornalista Giuseppe Pietrobelli ha compilato un dettagliato elenco delle osservazioni contenute nel dossier che l’Unesco si accinge a valutare nel vertice di Fuzhou, in Cina, dal 16 al 31 luglio. Ecco qui sotto, una sintesi dei punti critici, voce per voce.
LE ACCUSE DELL’UNESCO
Grandi Navi – L’Unesco è piuttosto fredda sull’ipotesi di portare le navi a Marghera, anche perché richiederebbe ulteriori investimenti. Nel dossier, un vero ultimatum: “Va cercata con urgenza una soluzione a lungo termine”, ma si deve perseguire la “priorità di mettere al bando le grandi navi dalla Laguna, indirizzandole ad altri porti più sostenibili, come soluzione finale”.
Il Mose – Se il sistema di dighe mobili per salvare Venezia dall’acqua alta va finito, servono anche “appropriate misure di mitigazione di impatti negativi sull’ecosistema della Laguna” e controlli sugli effetti che può avere l’opera.
Piani per la Laguna – L’Unesco ritorna più volte sulla necessità di salvare la Laguna, attraverso un Piano per il Clima, un Piano Morfologico e un Piano di gestione delle acque. Occorre una Road Map che indichi le fasi di realizzazione.
Porto Marghera – Le attività industriali che sorgono ai limiti della Laguna mettono a repentaglio l’integrità ambientale e dovrebbero “essere progressivamente eliminate”.
L’impianto GPL di Chioggia – Secondo l’Agenzia delle Nazioni Unite, “lo sviluppo urbano e i progetti su larga scala rimangono problematici”. Si cita come esempio l’enorme deposito Gpl a Chioggia (mai entrato in funzione), che “va smantellato e trasferito altrove”. Su questo punto il M5S ha fatto una battaglia e l’ha vinta. Un mese fa è stato annunciato l’insediamento di una commissione per stabilire gli indennizzi al gestore dell’impianto. L’Unesco vuole, però, che scompaiano tutte le strutture.
Grattacieli – C’è spazio nel dossier anche per i grandi edifici che stanno sorgendo a Mestre. Per esempio, la “Hybrid Tower” vicino alla stazione ferroviaria o il progetto di “Venus Venis”, un’altra torre alta 100 metri per negozi e hotel. Le minoranze in Comune hanno sempre accusato il sindaco, Luigi Brugnaro, di aver sostenuto e promosso lo sviluppo del cemento in terraferma. “L’impatto visivo attenta all’integrità del Sito” scrive l’Unesco, che chiede una diversa “skyline policy”.
Turismo di massa – La pandemia di coronavirus ha già ridotto il numero dei visitatori, ma sono ancora troppi i turisti che affollano Venezia. Mancano politiche per regolare l’afflusso e strategie per limitarlo. Il Comune si era impegnato a intervenire. Fino a due anni fa si pensava ai tornelli per fermare gli accessi e alle prenotazioni obbligatorie. Non se n’è fatto nulla.
Salvare il centro storico – “Occorre migliorare la qualità della vita dei residenti e riqualificare le aree urbane, a fini di un uso residenziale, per salvaguardare il futuro del Sito e dei suoi abitanti”. Questo un altro impegno disatteso, come dimostra lo spopolamento del centro storico, ridotto a poco più di 50 mila abitanti.
Piano complessivo – Secondo l’Unesco, serve un piano complessivo di gestione (“Management Plan”) che assicuri la protezione dei valori straordinari di Venezia.
Impegni da rispettare – L’Italia deve adempiere agli impegni che si era assunta nel 2020. La proposta di inserire il nostro Paese nella black-list richiede già la ricerca di misure correttive da proporre alla prossima Assemblea che si terrà nel 2022, con l’elencazione entro il prossimo 1° febbraio prossimo degli interventi adottati.