Se il turismo è stato finora la nostra prima industria nazionale, sostenuta dallo straordinario patrimonio naturale e artistico del Belpaese, come e quando potrà riprendersi dopo la pandemia di coronavirus? L’interrogativo incombe all’orizzonte sul futuro dell’economia italiana, mentre Confindustria prevede che il Pil calerà addirittura del 10 per cento nel primo semestre di questo infausto 2020 e Confcommercio annuncia perdite di 7 miliardi per questo settore. Fino a quando le nostre città d’arte, spopolate dall’allarme sanitario, resteranno vuote di turisti? E per quanto tempo ancora i nostri musei, le nostre gallerie, i nostri monumenti e le nostre chiese, saranno “off limits” per i visitatori stranieri?
In vista ormai della stagione estiva, l’industria delle vacanze è al momento la più ferma di tutte e verosimilmente sarà l’ultima a ripartire. Nessuno può dire quando il comparto dei viaggi, con il suo appartato alberghi, ristoranti, pizzerie, bar e stabilimenti balneari, potrà riaprire i battenti. È diffusa comunque la convinzione che la ripresa sarà lenta e graduale. E con 55 siti Unesco, non basterà più detenere – insieme alla Cina – il record mondiale di questo patrimonio dell’umanità.
Ecco, dunque, un valido motivo in più per pretendere la solidarietà dell’Unione europea, chiamata a contribuire alla salvaguardia e alla conservazione di un tale deposito di beni artistici e culturali, sotto la minaccia dalla crisi del turismo. Da qui, deriva anche la legittimità della richiesta italiana di emettere eurobond, cioè titoli pubblici garantiti dai singoli Stati e in solido da tutta l’Unione, per fronteggiare il rischio della recessione. Con i suoi monumenti e i suoi musei, i suoi palazzi e le sue chiese, i suoi quadri e le sue sculture, l’Italia è il “caveau” dell’Europa e perciò a maggior ragione non può essere abbandonata mentre subisce l’assalto del coronavirus, lanciando un S.o.S. per il turismo.
Lasciamo pure agli storici la valutazione sui danni di guerra prodotti dalla Germania nazista, sulle vittime e sulle rovine, sulla devastazione e sulla depredazione del nostro patrimonio artistico. E limitiamoci qui a ricordare che nel 1953 il debito pubblico tedesco fu dimezzato a spese degli altri Paesi europei e che nel 1990 vennero cancellati ulteriori debiti, anche dall’Italia e dalla Grecia, per favorire la riunificazione delle due Germanie dopo la caduta del Muro di Berlino. Ma tanto dovrebbe bastare a smuovere le resistenze della Cancelliera Merkel e dei suoi ministri, di fronte a una richiesta di solidarietà che oggi chiama in causa tutti i partners dell’Unione.
Fra i più “euroegoisti”, si segnala in particolare la presenza dell’Olanda: un Paese di appena 7 milioni di abitanti, meno della Grecia (10,4) e poco più della nostra Sicilia (5,027). Un “paradiso fiscale” per molte multinazionali, a cominciare dai giganti del web, che realizzano cospicui profitti in Italia o altrove. Quanto al turismo e alla tutela del patrimonio storico-artistico, nessuno può dimenticare gli atti di violenza e di teppismo compiuti il 19 febbraio 2015 dai seimila tifosi olandesi, calati a Roma come un’orda di barbari, per assistere alla partita di Europa League tra la squadra giallorossa e il loro Feyenoord.
Armati di bastoni, bombe carta, bandiere, sciarpe e lattine di birra, gli “hooligans” si scontrarono con la nostra Polizia, devastarono il centro della Capitale e arrivarono perfino a danneggiare con 110 scalfitture la celebre “Barcaccia”, la fontana barocca scolpita dal Bernini in piazza di Spagna, ai piedi della scalinata di Trinità dei Monti. Un “delitto” contro l’arte e la cultura, per il quale l’Olanda si rifiutò di pagare i danni. Per la cronaca, la partita finì 1-1, ma al ritorno la Roma vinse in trasferta 1-2.