DEGRADO IMPERIALE PALAZZO IN PERICOLO

DEGRADO IMPERIALE PALAZZO IN PERICOLO

C’è un tesoro incastonato nel parco dei Fori Imperiali a Roma che potrebbe raccontare storie incredibili. Quelle mura, quegli affreschi, quei soffitti intarsiati hanno ospitato cardinali, nobili, suore ma anche prostitute, sbandati, contestatori, artisti. Nei suoi cinque secoli di storia, Palazzo Silvestri Rivaldi è stato testimone d’eccezione di epoche irripetibili: dagli intrighi della corte di Papa Paolo III Farnese alla generazione bit dei musicisti indipendenti degli anni ’70. E’ come se la sua posizione privilegiata, l’affaccio sul Belvedere Cederna e sul Colosseo, gli avesse permesso uno sguardo unico sulla storia della Città eterna.

Eppure sia il palazzo patrizio sia il giardino circostante sono abbandonati al degrado da quasi trent’anni. L’isolato compreso tra via del Tempio della Pace e via del Colosseo è occupato da ponteggi e tubi innocenti che sostengono l’edificio e proteggono i pedoni dalla caduta degli intonaci. Gli infissi sono ormai divelti e le intemperie stanno divorando gli affreschi interni e i legni pregiati dei soffitti. Le grottesche dei cortili sono irriconoscibili e di notte l’area è ostaggio di senzatetto e spacciatori.

Una ferita che l’Ipab Santa Maria in Acquiro, proprietario del complesso, non è riuscito a sanare nonostante diverse volte i suoi amministratori avessero annunciato una soluzione imminente. L’ISMA (Ipab Santa Maria in Aquiro) è oggi partecipato da Comune, Provincia e Regione ed è quest’ultima che nomina il consiglio di amministrazione. Ma il disinteresse degli enti locali alla sorte di Palazzo Rivaldi è il simbolo della miopia di una classe politica che non sa creare valore da un patrimonio unico al mondo.

Costruito nella prima metà del ‘500 su progetto di Antonio da Sangallo il Giovane, il palazzo nasce come residenza di Eurialo Silvestri, ascoltato maestro di camera di Papa Paolo III. La bella sorella di Eurialo, Lola, fu amante del Papa e gli diede dei figli. Così il Pontefice concesse il privilegio alla famiglia Silvestri di costruire su un importante terreno, proprio accanto ai Fori. In segno di gratitudine, Eurialo chiamò ad abbellire la dimora gli stessi artisti che avevano decorato Palazzo Farnese. Nei secoli successivi, fu acquistato dal cardinale Rivaldi che ne fece un luogo di beneficenza, ospitando donne sventurate, orfani e ammalati.

Trasformato in convento, fu poi occupato – negli anni 70 del 900 – dai movimenti che lo trasformarono in quello che oggi chiameremmo “un centro sociale”. Renato Nicolini, usava dire che il “convento occupato” (come lo chiamavano i romani del rione) era l’unico spazio culturale della Roma democristiana. Sotto le volte affrescate, suonavano Tony Esposito, Franco Battiato, i Napoli Centrale con James Senese e si tenevano mostre e iniziative teatrali.

Dagli anni ’80 a oggi, le grandi scalinate sono state battute solo dai topi e da pochi operai inviati a puntellare i solai. Antonio Cederna, nel 1992, durante un accorato intervento in consiglio comunale, chiese – inascoltato – all’allora sindaco Franco Carraro di acquistare il complesso per farne un museo unico al mondo. Finché nel 2007 la soluzione sembrò a portata di mano. In una conferenza stampa molto affollata, Walter Veltroni e Piero Marrazzo, rispettivamente sindaco e presidente della Regione, annunciarono lo stanziamento di 11 milioni di euro per la trasformazione dell’edificio in uno spazio espositivo e museale che avrebbe ospitato la collezione Torlonia. Il progetto fu approvato dalla Sovrintendenza comunale che però, durante l’amministrazione di Gianni Alemanno, chiese il definanziamento dell’opera (nota n. 7883 del 17 aprile 2009). La giunta di centro-destra approvò in poche ore, con buona pace dei denari già messi a bilancio che furono trasferiti su altre poste.

Una politica che sa trovare sempre altre priorità rispetto alla valorizzazione del patrimonio, unica possibilità di creare lavoro in una Roma ormai deindustrializzata e senza un progetto per il futuro.

Filippo Guardascione

 

 

FOTO (dall’Archivio storico Cederna):

Share this: