MARE MONSTRUM: IL TRAGICO NAUFRAGIO DI CROTONE RICHIAMA LA RESPONSABILITA’ DI TUTTA L’EUROPA

MARE MONSTRUM: IL TRAGICO NAUFRAGIO DI CROTONE RICHIAMA LA RESPONSABILITA’ DI TUTTA L’EUROPA

Hanno perso la vita al largo di Crotone, nelle acque territoriali italiane, lungo la costa calabrese. Un’altra strage di migranti, 79 morti finora accertati e ancora numerosi dispersi, con molti bambini tra cui due gemellini e un neonato. Disperati in fuga dai propri Paesi d’origine: Iraq, Iran, Afghanistan e Siria. Un “viaggio della speranza” lungo la rotta turca, nel tentativo di scampare alle guerre, alle violenze, alla fame e alla miseria. Pronti a rischiare la sopravvivenza in mare, piuttosto che continuare a subire pericoli mortali, sopraffazioni, torture, povertà. Ma il fragile “caicco” degli scafisti non ha retto alla forza delle onde, è andato in pezzi ed è tragicamente naufragato (foto principale della Croce Rossa).

Volevano approdare sulle nostre coste per cercare una vita migliore, più sicura e pacifica. Questa non è una questione ambientale o territoriale, ma un’emergenza umanitaria a cui neanche un sito come questo – intitolato Amate Sponde – può restare indifferente e insensibile. Per fermare questa mattanza e governare il fenomeno migratorio, “è indispensabile l’impegno dell’Unione europea”, proclama il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella. E la premier Giorgia Meloni esprime il suo “profondo dolore per le tante vite umane stroncate dai trafficanti di uomini”. In un Twitter, risponde da Bruxelles la presidente della Commissione europea, Ursula Von der Leyen: “Dobbiamo raddoppiare i nostri sforzi per il Patto sulla migrazione e l’asilo e per il Piano d’azione sul Mediterraneo centrale”.

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(foto da Google – Ag. ADN-Kronos)

Ma quante volte abbiamo già sentito parole di questo genere? Richieste, promesse, annunci? E nel frattempo, quanto vittime abbiamo dovuto contare nelle acque del “Mare nostrum” che sta diventando sempre più un “Mare monstrum”, un mostro di crudeltà e di orrore? Non è forse anche questa una “strage annunciata”, una strage che si poteva e doveva evitare? “La tragedia – accusano le Ong, le Organizzazioni non governative che provvedono al salvataggio dei migranti – è frutto di scelte precise del governo e della Ue”. Ma qui le loro navi non c’erano, a riprova del fatto che non sono le Ong ad alimentare il “traffico degli essere umani”.

“La disperazione non giustifica i viaggi”, sentenzia con il suo cinico distacco burocratico il ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi, già degno capo di gabinetto dell’ex ministro e leader della Lega Matteo Salvini. Ma bisogna mettersi nei panni e nelle condizioni di quei disperati per stabilire se i viaggi attraverso il Mediterraneo sono giustificati o meno. Certo non sono viaggi di piacere, crociere turistiche, vacanze sul mare. E il ministro farebbe bene a sforzarsi di capire meglio le ragioni che costringono tanta povera gente a salire a bordo di quelle “carrette”, con le mogli e i figli, sapendo bene di mettere a rischio la propria vita.

Commenta sul Fatto Quotidiano il giornalista Giovanni Valentini, già direttore del settimanale L’Espresso ed ex vicedirettore di Repubblica: “È inevitabile attribuire le colpe del mancato soccorso al più diretto responsabile, il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi, ex prefetto e non a caso ex capo di gabinetto del leader leghista Matteo Salvini. Chiunque altro, al posto di Piantedosi, si sarebbe già dimesso: non solo per l’epilogo di questa tragedia, ma anche per le frasi “indegne e disumane” – come la ha definite la neo-segretaria del Pd, Elly Schlein – pronunciate in conferenza-stampa: “La disperazione non giustifica viaggi pericolosi per la vita dei figli”. Quasi che non basti a giustificare il tentativo di salvare i figli da pericoli ancor più gravi e che la vita dei padri o delle madri in fuga non sia altrettanto degna di rispetto”.

Ma se è vero – come afferma l’ammiraglio della Guardia costiera, Vittorio Alessandro – che “salvare vite era il nostro vanto, poi la politica ha fermato tutto”, allora bisogna chiamare in causa gli ispiratori e gli artefici di questa politica: a cominciare dal ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti Salvini, da cui dipende istituzionalmente il Corpo della Capitanerie di porto. Ma sarebbe utile anche sapere se sia stato interpellato il ministro delle Politiche agricole e Forestali, Francesco Lollobrigida, sotto la cui competenza la Guardia costiera opera “in regime di dipendenza funzionale”.

Dice la premier Giorgia Meloni: “Non è arrivata alle nostre autorità nessuna comunicazione di emergenza da Frontex, non siamo stati avvertiti del fatto che questa imbarcazione rischiava il naufragio”. Tutto vero. ma, come si legge in una ricostruzione di Antonio Massari sul Fatto Quotidiano,  “è proprio questo il punto”. Le motovedette della Guardia di Finanza sono uscite subito in mare per cercare l’imbarcazione segnalata dall’aereo di Frontex, ma sono navi veloci per l’inseguimento dei contrabbandieri e sono dovute tornare indietro a causa della forza del mare, avvertendo la Guardia costiera dotata invece di un naviglio che può galleggiare anche in condizioni critiche. Nessuno, però, ha dato l’ordine di salpare per andare incontro al “caicco” dei profughi.

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(foto da un Twitter di Francesco Giubilei)

Il tragico naufragio di Crotone, oltre a dimostrare l’utilità delle navi-coraggio delle Ong, conferma una volta di più che questo esodo biblico è un’emergenza umanitaria di tutta l’Europa. Le coste di primo approdo, per lo più italiane, non possono corrispondere automaticamente all’obbligo di accogliere i migranti secondo l’infausto Tratta di Dublino. Quelle sono a tutti gli effetti coste del Continente europeo. E i nostri partners dell’Unione non possono scaricare le responsabilità soltanto sull’Italia.

Ma questa ennesima tragedia del “Mare monstrum” dimostra anche quanto sia illusoria e fallace la tesi del “blocco navale” vagheggiato a suo tempo dalla premier Meloni e promesso ai suoi elettori in campagna elettorale. Una soluzione irrealistica e impraticabile che richiederebbe il dispiegamento di tutte le imbarcazioni della Marina militare, della Guardia di Finanza e delle altre forze di polizia, in servizio permanente effettivo, 365 giorni anno, 24 ore su 24, per impedire l’arrivo dalle altre sponde del Mediterraneo, dalla Turchia alla Libia. E anche se fosse, che cosa potrebbero fare per applicare il “blocco navale”? Speronare i “taxi del mare”, affondare le “carrette” degli scafisti con tutti i passeggeri a bordo, prendere a cannonate le navi delle Ong?

Il problema, come si ripete ormai da troppo tempo, non è quello di impedire che i migranti arrivino bensì di fare in modo che non partano. Né basta, evidentemente, corrispondere sei miliardi di euro alla Turchia o fornire motovedette alla Libia per ottenere questo risultato. Si tratta, piuttosto, di favorire le condizioni di vita, economiche e sociali, perché tanta povera gente non sia costretta a fuggire dal proprio Paese, a imbarcarsi su un “caicco” o su un gommone, per rischiare la pelle e sperare di sopravvivere. Questa è la sfida che l’Europa è chiamata ad affrontare, anche nel proprio interesse, se non vuole subire un’invasione continua di profughi spinti dalla disperazione.

 

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