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LO SCANDALO DELLE DIGHE

Su 47 dighe, ne sono state collaudate solo 20, di cui oggi 17 già dismesse. Perdite delle condotte idriche al 56,1%, contro una media nazionale del 42% mentre quelle europee variano dal 5% al 50%. La Sicilia detiene il primato assoluto sia nel nostro Paese sia nel Continente. Non è, dunque, solo un problema di siccità, ma anche di infrastrutture obsolete che – è proprio il caso di dirlo – fanno acqua da tutte le parti come un colabrodo.

Ha dichiarato il funzionario regionale Tuccio D’Urso, incaricato nel 1991 di mappare i lavori del settore idrico, a Gian Antonio Stella per il Corriere della Sera: “Solo per elencare gli interventi ho avuto bisogno di 47 pagine”. Per un totale di 7.000 miliardi di vecchie lire, “non meno di otto miliardi di euro senza contare l’inflazione che ne moltiplicherebbe l’importo finale almeno per quatto”. Una montagna di denaro pubblico sperperato nell’arco di 78 anni dai governi che si sono succeduti alla guida dell’isola: due soli di centrosinistra (durati in totale sette anni) e 28 di centro o centrodestra dalla Dc in giù.

Il risultato di questo “grande flop dell’acqua in Sicilia”, come s’intitolato l’inchiesta del Corriere, è “Dighe vuote, dissalatori arrugginiti”. Un’emergenza ambientale che è anche un’emergenza sociale per una popolazione colpita dalla crisi idrica. Insomma. Una catastrofe.

La classica punta dell’iceberg è la Diga sul lago della Trinità a Castelvetrano, in provincia di Trapani, un caso emblematico a livello nazionale (qui sopra, l’invaso pieno; in alto, l’invaso pieno). Racconta Stella nel suo articolo: “Costruita in terra battuta, quella diga benedetta non fu mai collaudata. Mai. E nella scia delle immagini del Vajont del ’63 (…) il rischio che cedesse non se lo prese più nessuno”. Così l’invaso è stato svuotato per decenni, fino a un via libera ministeriale arrivato pochi giorni fa, appena superava una certa soglia. Per tutte le dighe, e non solo in Sicilia, sono stabilite due quote di riferimento: una indicata sulla carta dai progetti ingegneristici e l’altra fissata delle autorità di bacino. Per cui, “soglia superata, sversamento automatico”.

Non è un caso, dunque, che le campagne di Castelvetrano siano state “sfigurate da spropositati tappeti di pannelli fotovoltaici e gigantesche palizzate eoliche”. Il fatto è che gli agricoltori percepiscono appena 25 centesimi per un chilo di frumento prodotto, mentre possono incassare fino a 50mila euro l’ettaro per installare impianti di energie alternative”. In questo modo, con le dighe chiuse, la siccità è destinata ad avere fatalmente il sopravvento.

Neppure il Pnrr è bastato a risolvere la situazione. I 31 progetti presentati dalla Regione Sicilia, per far fronte a questa emergenza, sono stati tutti bocciati. Spiega l’Osservatorio Conti Pubblici dell’Università Cattolica di Milano: “La bocciatura pare dovuta alla debolezza dei progetti predisposti dalla Sicilia e alle carenza della sua amministrazione che a loro volta potrebbero dipendere da politiche poco meritocratiche di selezione del personale”. Traduce il giornalista del Corriere della Sera: “Troppi addetti scadenti assunti per motivi clientelari”.

Ora il governatore della Regione, Renato Schifani, ha promesso di spendere 290 milioni di euro per cinque dissalatori, sconsigliati anche dal Cnr, per prelevare l’acqua dal mare e garantire l’approvvigionamento idrico. Tre di questi andrebbero a Trapani, Gela e Porto Empedocle, dove giacciono ancora i ruderi ARRUGGINITI di quelli precedenti abbandonati per i costi – economici e ambientali – proibitivi. Ma intanto a Gela, per il “mostro” locale, stanno ancora pagando 10,5 milioni di debiti all’anno fino al 2026.

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