Si chiamava Giuseppe Incani, 60 anni, originario di San Gavino Monreale (Sud Sardegna) e residente a Quartu Sant’Elena, nel Cagliaritano. È stato travolto e ucciso da un’auto pirata il 15 dicembre scorso, mentre tornava a casa dopo aver terminato il suo lavoro di chef. Il corpo è stato trovato nella notte, in viale Marconi, la trafficata strada che collega Quartu a Cagliari. Dopo l’impatto, la vittima è finita nel canneto accanto al ciglio della strada.
È l’ultima vittima, in ordine di tempo, della “strage delle bici” che insanguina quotidianamente le nostre strade, in città e fuori città, in particolare in Sardegna. Ad agosto la stessa sorte era toccata a una coppia di ciclisti, un uomo e una donna, investiti in viale Italia a Olbia. A settembre è stato ucciso un turista olandese. E da ultimo, il 30 novembre scorso, ha perso la vita il ciclista professionista Davide Rebellin, falciato da un tir mentre si allenava sulle strade vicentine.
Sono più di cento – secondo l’Asaps, l’Associazione sostenitori e amici della Polizia stradale – i ciclisti morti quest’anno in tutta Italia. Vittime innocenti della velocità e dell’irresponsabilità degli automobilisti o dei camionisti. Uccisi proprio sulla loro bicicletta, strumento e simbolo di una transizione ecologica che dovrebbe favorire la cosiddetta mobilità sostenibile, per contribuire a combattere l’inquinamento atmosferico e il riscaldamento del pianeta.
Sta di fatto che, come risulta dall’ultimo Report di Legambiente, l’Italia investe nelle quattroruote quasi 100 volte più che nelle due ruote: 98 miliardi di euro per il settore automotive e le infrastrutture stradali contro poco più di un miliardo per bonus bici e ciclabili urbane ed extraurbane. Il risultato è che il nostro Paese, sul piano della ciclabilità, è il fanalino di coda del contesto europeo. Le città italiane hanno una media, secondo i dati Istat, di 2,8 km di ciclabili per diecimila abitanti, con grandi disparità territoriali: da zero km in molti capoluoghi del Centro-Sud ai 12-15 km di Modena, Ferrara, Reggio Emilia, meno di Helsinki (20 km/10.000 abitanti), Amsterdam (14 km/10.000 abitanti) o Copenaghen (8 km/10.000 abitanti).
Ma l’Italia s’è impegnata con l’Unione Europea a ridurre le proprie emissioni climalteranti del 55% entro il 2030. Per raggiungere questo obiettivo, è essenziale decarbonizzare rapidamente il settore dei trasporti, che è oggi causa di quasi un terzo delle nostre emissioni di CO2. Ma se non riusciremo a rendere le nostre città davvero ciclabili sarà molto più difficile raggiungere questo obiettivo.
È questo il punto di partenza da cui Clean Cities, FIAB, Kyoto Club e Legambiente, hanno preso spunto per realizzare il dossier L’Italia non è un Paese per bici. Il documento mostra che, per colmare il gap con il resto d’Europa, alle città italiane servono 16.000 km di ciclabili in più (rispetto al 2020), per un totale di 21.000 km al 2030. Da una stima prudenziale del fabbisogno economico, l’investimento dovrebbe essere di almeno 3,2 miliardi di euro nell’arco dei prossimi sette anni, pari a 500 milioni di euro all’anno fino al 2030: ovvero appena il 3,5% di quanto già stanziato per il comparto auto e le infrastrutture connesse, ma molto di più di quanto predisposto finora per la ciclabilità.
Milioni di italiani avrebbero così l’opportunità di muoversi in sicurezza usando la bici per raggiungere i propri luoghi di lavoro, di studio o di svago. Ma non possono perché le strade sono il dominio incontrastato delle automobili e mancano infrastrutture adeguate. “Facilitare l’utilizzo diffuso e capillare della bicicletta – si legge nel Report – non è solo una priorità dal punto di vista ambientale e climatico, ma anche parte della soluzione all’epidemia di morti per mal’aria e una questione di giustizia e inclusione sociale”.
Le organizzazioni ambientaliste propongono inoltre:
- la creazione di una struttura tecnica incardinata nel MIT, con budget dedicato, che coordini il Piano nazionale per la ciclabilità;
- finanziamenti per sharing mobility nelle città poco appetibili per i grandi operatori di bike-sharing;
- l’istituzione di un fondo per la promozione della ciclabilità con sgravi, incentivi ad hoc e accordi di mobility management con le aziende;
- l’obbligo per i nuovi progetti infrastrutturali di prevedere connessioni intermodali;
- la promozione dell’accesso delle bici ai treni regionali con adeguata fornitura di posti e scontistica sugli abbonamenti;
- una grande campagna di sensibilizzazione sulla bicicletta come mezzo di trasporto per gli spostamenti quotidiani per lavoro e studio;
- un programma di formazione e sensibilizzazione degli enti locali sui recenti sviluppi legislativi in tema di ciclabilità.