LA PENISOLA DELLE FRANE: IN ITALIA SONO I DUE TERZI D’EUROPA (600 SU UN TOTALE DI 900)

LA PENISOLA DELLE FRANE: IN ITALIA SONO I DUE TERZI D’EUROPA (600 SU UN TOTALE DI 900)

Clima, siccità, alluvioni, frane. In questa catastrofica spirale, il riscaldamento globale incide sulla fragilità della nostra Penisola, aggravando il dissesto idrogeologico. Sono stati 91 gli eventi estremi che hanno colpito il territorio italiano fra il 20 aprile e il 4 maggio, provocando bombe d’acqua e allagamenti che si sono abbattuti su terreni tanto secchi da diventare quasi impermeabili. E così, dall’Emilia Romagna alla Calabria, dalla Puglia alla Basilicata e alla Sicilia, “l’Italia va in frantumi” come s’intitola un ampio e documentato articolo di Anna Maria Capparelli pubblicato sul Quotidiano del Sud, diretto da Roberto Napoletano.

CROLLO PONTE (LaC News 24)

Il ponte crollato a Longobucco, Calabria (da LaC News 24)

Nel suo primo “Atlante dei danni ambientali”, l’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale ha censito 620mila frane, il 28% delle quali è rappresentato da crolli e colate rapide di fango e detriti. Ogni anno sono circa un migliaio gli eventi atmosferici, compresi i terremoti, che provocano vittime, evacuazioni, danni a edifici, infrastrutture e beni culturali. Con il 75% del territorio montano e collinare, il nostro è un Paese vulnerabile. E non è un caso, dunque, che i due terzi delle frane registrate in Europa avvengono in Italia: 600mila su 900mila.

Agli effetti nefasti del cambiamento climatico, si aggiungono il consumo di suolo e la cementificazione selvaggia. Nel 2021, secondo lo stesso Ispra, le coperture artificiali hanno riguardato 69,1 chilometri quadrati al giorno, circa 19 ettari, circa 2,2 metri al secondo. Se la velocità di questo trend non rallenterà entro il 2050 – avvertono i tecnici dell’Istituto – il consumo potrebbe superare i 1.800 chilometri quadrati.

Uno studio della Coldiretti ricorda che oltre 9 Comuni su 10 hanno una parte del loro territorio in aree a rischio idrogeologico, vale a dire frane e alluvioni, anche per effetto del cambiamento climatico che tende a trasformare l’Italia in un Paese “tropicale”. A giudizio della stessa associazione, quindi, è urgente realizzare invasi e bacini di accumulo in grado di trattenere l’acqua a monte, in modo da evitare situazioni critiche com’è avvenuto recentemente in Emilia-Romagna, dove in un solo giorno è caduta una pioggia torrenziale che equivale a un quarto della media annuale. Anche la Coldiretti, comunque, mette sotto accusa l’asfalto e il cemento che dal 2012 hanno coperto i terreni sottraendoli all’agricoltura.

ALLUVIONE (Fatto Quotidiano)

L’alluvione in Emilia-Romagna (dal “Fatto Quotidiano”)

“Da oltre dieci anni – scrive l’autrice dell’articolo – giace in Parlamento una legge che puntava a fermare il consumo del suolo. Ma è rimasta sepolta tra le scartoffie parlamentari. Toccava troppi interessi e dunque nessun governo ha preso in mano la situazione”.

Con i fondi europei messi a disposizione dal Piano nazionale di ripresa e resilienza, i soldi da investire nei “laghetti” artificiali non mancherebbero. E neppure i progetti: “È da anni – dichiara allo stesso giornale Francesco Vincenzi, presidente dell’Anbi (Associazione nazionale dei Consorzi per la tutela del territorio e delle acque irrigue – che denunciamo l’inadeguatezza della rete idraulica del Paese ed è del 2018 il nostro Piano per l’efficientamento che prevedeva 858 progetti, quasi tutti definitivi ed esecutivi, capaci di garantire oltre 21.000 posti di lavoro, grazie a un investimento di circa 4 miliardi e 339 milioni di euro”.

Per contenere le piene alluvionali, dunque, è necessario realizzare al più presto i bacini di espansione intorno ai fiumi principali e agli altri corsi d’acqua, in modo da preservare il territorio dagli allagamenti. Non si tratta più di “calamità naturali” o di eventi eccezionali e imprevisti. Ormai sono assolutamente prevedibili, all’ordine del giorno. Il riscaldamento globale e i cambiamenti climatici, prodotti dall’inquinamento atmosferico, provocano la siccità e questa si può combattere appunto con le riserve idriche che poi servono anche a difendere il suolo dagli smottamenti e dalle frane. E così il cerchio si chiude.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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