Il sasso nello stagno l’ha lanciato con un Tweet Edoardo Zanchini, vicepresidente nazionale di Legambiente, alla vigilia della presentazione di “Pendolaria 2020”, il rapporto annuale della sua associazione sul trasporto ferroviario: “Dicono che sono i meridionali a non voler prendere il tremo, preferiscono girare in auto e sui pullman. Invece il problema è che i treni non ci sono…”. E infatti la “radiografia” scattata quest’anno documenta che l’Italia è spaccata in due, con un Sud sempre più penalizzato rispetto al Centro-Nord.
Mentre si celebravano i dieci dell’Alta velocità, l’anno scorso è cresciuta complessivamente la mobilità ferroviaria, ma tutto il Paese e specialmente le regioni meridionali accusano un ritardo infrastrutturale in confronto agli altri Paesi europei. Nel 2019, non è stato inaugurato nemmeno un chilometro di linee metropolitane e il totale della rete nazionale resta fermo così a 247,2 chilometri nelle 7 città che ne dispongono, contro i 291,3 della sola Madrid. Ma nella capitale spagnola vivono 6,5 milioni di persone, rispetto ai quasi 15 nostri. E il confronto è ancora più penalizzante con Londra e Parigi.
Eppure, oltre ad agevolare la vita dei tre milioni di pendolari italiani, la “cura del ferro” potrebbe contribuire anche a ridurre l’inquinamento atmosferico nelle aree urbane, prodotto principalmente dal traffico automobilistico. Un problema particolarmente sentito a Roma, l’unica metropoli al mondo senza una vera metropolitana. Ma lo smog minaccia la salute di tutti i cittadini italiani che risiedono nelle grandi aree urbane.
“In questi anni – si legge nel rapporto di Legambiente – in alcune parti del Paese la situazione è migliorata rispetto al passato mentre in altre è peggiorata, e si è ampliata la differenza nelle condizioni di servizio tra gli stessi pendolari. Nel complesso la quantità di treni regionali in servizio, considerati tutti i gestori, è finalmente tornata ai livelli del 2010, ma dopo anni di riduzione e con notevoli differenze tra le Regioni”. Un esempio è la situazione drammatica che vivono quei 93mila cittadini campani che ogni giorno sono costretti a prendere le ex linee Circumvesuviane (erano 107mila nel 2010). Sulle tre storiche linee suburbane di Napoli gestite da EA, si è passati da 520 corse giornaliere nel 2010 a 367 corse nel 2016, con un calo dell’offerta di treni del 30%, solo in minima parte recuperato negli ultimi anni. Ma non sono certamente migliori le condizioni per chi viaggia quotidianamente sulle linee Roma Nord-Viterbo e Roma-Ostia Lido.
Ma, secondo “Pendolaria 2020”, non basta disporre di linee metropolitane, occorre anche che i treni metropolitani passino con la giusta frequenza, per garantire un’offerta di qualità, in particolare nelle ore di punta. Questa è una valutazione fondamentale anche per capire dove occorre investire per acquistare nuovi treni in modo da potenziare il servizio. A Napoli la linea 1 e la linea 2 vedono ancora frequenze non all’altezza rispetto alla domanda; a Roma la metro B e la diramazione B1 (con frequenza da 4 a 15 minuti), mentre la linea C ha finalmente visto scendere, in orari di punta, a una frequenza di 9 minuti, che diventano 12 nel resto della giornata. In Capitali come Londra, Parigi, Madrid e Berlino, tutte le metropolitane hanno frequenze tra i 2 ed i 4 minuti negli orari di punta e tra i 7 ed i 9 minuti negli orari meno affollati.
Per Legambiente, dunque, l’obiettivo deve essere quello di raddoppiare il numero di persone che complessivamente ogni giorno in Italia prendono e treni regionali e metropolitane, per farli passare da 5,7 a 10 milioni. La mobilità urbana è una grande questione nazionale e se guardiamo alle principali aree metropolitane e hinterland urbani cresciuti negli ultimi decenni ci rendiamo conto che è in questi ambiti, dove vivono oltre 25 milioni di persone, che occorre concentrare attenzioni e investimenti, perché qui per le densità presenti e la domanda di mobilità è possibile costruire uno scenario di mobilità incentrato sul trasporto su ferro. Le esperienze recenti di città europee e italiane dimostrano che, laddove si investe sulla rete ferroviaria, non solo si possono creare opportunità di spostamento che sono sempre più apprezzate dai cittadini, ma diventa possibile costruire un modello di mobilità dove il valore aggiunto è l’integrazione con spostamenti in bici e a piedi lungo percorsi sicuri, con un TPL ridisegnato proprio per ottimizzare gli scambi e ridurre i tempi di attesa, con le nuove forme della sharing mobility di auto, motorini, biciclette, monopattini elettrici.
L’associazione ambientalista sollecita perciò un innovativo piano di investimenti, sia da parte dello Stato sia da parte delle Regioni, in modo da modificare l’ordine delle priorità nazionali in termini di infrastrutture. Più treni e meno grandi opere, insomma. La “cura del ferro” può giovare anche all’economia italiana, perché crea occupazione e alimenta l’industria della manutenzione. E soprattutto, può giovare all’ambiente e alla salute dei cittadini, riducendo l’inquinamento atmosferico e perfino lo stress di chi vive nelle grandi aree urbane.
https://www.legambiente.it/wp-content/uploads/pendolaria2018_dossier.pdf