Non è una questione di parole. O, come si suol dire, di lana caprina. È una questione di sostanza. La differenza tra gli inceneritori e i termovalorizzatori sta tutta nel metodo con cui vengono prima raccolti, poi selezionati e quindi bruciati i rifiuti. E di conseguenza, nei controlli sul procedimento. Se a monte la raccolta non viene effettuata “porta a porta”; se i rifiuti non vengono separati in base alla loro tipologia; se gli impianti trattano il “tal quale”, cioè tutto il materiale messo insieme; e quindi, se nessuno vigila adeguatamente, i fumi della combustione diventano inquinanti e nocivi. Mentre infuriano le polemiche degli ambientalisti contro l’impianto annunciato dal sindaco di Roma, Roberto Gualtieri, si fa strada intanto una nuova tecnologia chiamata “ossicombustione”, basata sull’utilizzo dell’ossigeno, senza fiamma, che promette di azzerare le emissioni.
Ma qual è, al momento, lo scenario italiano? E qual è il “trucco” che accomuna in effetti inceneritori e termovalorizzatori? In una documentata inchiesta apparsa sul Fatto Quotidiano, Virginia Della Sala fa il punto della situazione..
“A oggi in Italia ci sono 37 termovalorizzatori. La maggior parte è al Nord, dove sono attivi 26 impianti, di cui 13 in Lombardia e 7 in Emilia-Romagna: nel 2020 hanno trattato circa 2,8 milioni di tonnellate di rifiuti urbani, circa il 74,5% di quelli inceneriti al Nord. Altri 11 sono al Centro e al Sud, che hanno trattato circa un milione e mezzo di tonnellate di rifiuti urbani. Parallelamente, ci sono 383 discariche che smaltiscono venti milioni di tonnellate di rifiuti urbani e speciali. La presenza degli inceneritori divide i cittadini e crea scompiglio e proteste”.
Ricorda l’autrice dell’articolo: “Molto spesso, come scelse di fare Silvio Berlusconi per l’inceneritore di Acerra – che oggi su richiesta di A2a e con l’appoggio del presidente della Campania, Vincenzo De Luca, pare destinato a essere ampliato con una spesa di 70 milioni di euro almeno – devono essere militarizzati. Una soluzione allettante per il leader di Azione, Carlo Calenda: ‘Rigassificatori e termovalorizzatori, se necessario, militarizzando le aree in cui devono esserci’, ha detto qualche giorno fa presentando il suo Patto Repubblicano”.
Secondo i dati Ispra (Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale), nel 2019 il 95,4% dei rifiuti urbani smaltiti in discarica e il 48,8% di quelli inceneriti sono stati sottoposti a trattamento preliminare in 130 impianti di trattamento meccanico biologico aerobico (Tmb), di cui 27 con il solo trattamento meccanico (Tm). Ma questo, come spiega l’ex magistrato Gianfranco Amendola allo stesso giornale, “in realtà, spesso viene fatto per poter riclassificare, a prescindere dai risultati del trattamento, i rifiuti urbani come rifiuti speciali, consentendo, quindi, vista la cronica carenza di controlli, di aggirare obblighi e divieti per rifiuti urbani che sulla carta vengono spacciati come destinati a riciclo ma invece sono solo separati umido-secco”.
Nel suo articolo, la giornalista del Fatto Quotidiano scrive ancora: “L’Ue, in verità, prevede una gerarchia ben precisa nel trattamento dei rifiuti: prima la riduzione della loro produzione a monte, poi il riciclo e compostaggio, e infine l’incenerimento e la discarica. Le attuali proposte, invece, rischiano di andare, nonostante le intenzioni, in direzione opposta. Tanto è vero che Bruxelles raccomanda agli Stati membri di non ‘esagerare’ con la termovalorizzazione per evitare che sia di ostacolo a ‘obiettivi di riciclaggio più ambiziosi’. E solo in caso di insufficienza delle prime due opzioni, la termovalorizzazione viene accettata come male minore rispetto allo smaltimento in discarica”.
Chiarisce da parte sua Enzo Favoino, coordinatore scientifico di Zero Waste Dati Europe: “Ai fini della transizione ecologica, la tassonomia Ue non include più i gli inceneritori tra le tecnologie che prevengono i cambiamenti climatici e, anzi, per le linee guida della Commissione l’incenerimento dei rifiuti va considerato ‘attività che arreca un danno significativo all’ambiente’. Tutti i più recenti strumenti di finanziamento UE, inclusi i Fondi Regionali e i Recovery Funds, ora escludono l’incenerimento dalle opzioni finanziabili”.
Secondo i dati diffusi da Utilitalia, l’associazione delle aziende che operano nei servizi pubblici, i 37 inceneritori producono ogni anno circa 6,7 milioni di Mwh (tra energia elettrica e termica) che corrispondono a circa il 2,2 per cento del fabbisogno nazionale. E perciò, se pure s’incenerisse al massimo di quanto concesso dalle direttive Ue (che impongono almeno il 65% di differenziata e discarica per un massimo del10%), si potrebbe arrivare al 5%.
Conclude, quindi, l’autrice dell’inchiesta: “L’energia da inceneritore è altamente inquinante, anche nel caso dei cosiddetti termovalorizzatori ‘di ultima generazione’, che abbattono le emissioni di alcune sostanze ma fanno poco sui gas serra”.