Sono passati otto anni da quando Giorgia Meloni scendeva in piazza, con i manifestanti e gli striscioni in mano, per sostenere il referendum abrogativo contro le trivelle petrolifere in programma il 17 aprile del 2016 (nella foto sotto). E ora invece il suo governo le riesuma, rilasciando una trentina di permessi per riprendere le esplorazioni di gas e petrolio in mare, “congelati” dal governo di Mario Draghi nel 2021 con il Pitesai, il Piano per la transizione energetica sostenibile nelle aree idonee. Il Coordinamento No Triv ha individuato per l’esattezza 27 titoli risuscitati, ma – come dichiara il co-fondatore Enrico Gagliano in un articolo firmato da Vanessa Ricciardi sul Fatto Quotidiano – “si tratta solo della punta dell’iceberg: la relazione tecnica parla di 130 provvedimenti seguiti al Pitesai”.
A beneficiare di questo “decreto energia” emanato dal governo Meloni saranno soprattutto due compagnie, Eni e Total: la prima, da sola o in partnership con altre, risulta titolare di 13 permessi a trivellare. In pratica, le concessioni riguardano quasi tutte le coste italiane, dal Veneto alla Sicilia. Fra le regioni coinvolte, c’è anche l’Emilia Romagna, già colpita in passato da un fenomeno di subsidenza del suo territorio che affaccia sull’Adriatico: cioé, da un abbassamento di diversi metri sotto il livello del mare che altera l’assetto idrogeologico, minacciando di favorire allagamenti e alluvioni.
Contro il blocco delle trivellazioni, su ricorso dei maggiori operatori petroliferi, tra febbraio e giugno di quest’anno il TAR del Lazio aveva bocciato il Pitesai con ben 13 sentenze di merito. Di fatto, il testo che nel 2021 ha definito i criteri e le aree per le trivellazioni, è stato demolito. Così il governo ha avuto via libera per intervenire con questo nuovo provvedimento: non solo non ha è ricorso in appello, ma anzi ha ribadito l’autorizzazione dei permessi di ricerca in vigore e anche a future concessioni. I comitati No Triv esamineranno la situazione regione per regione, in modo da capire che cosa accadrà nel prossimo futuro. “Il settore Oil&Gas – dichiara ancora Gagliano al Fatto Quotidiano – ostacola in tutti i modi la transizione energetica, attaccando le rinnovabili e spostando l’attenzione dell’opinione pubblica su un nucleare che non c’è”.
Tutto ciò accade mentre l’economia verde genera lavoro, arrivando a 3,1 milioni di occupati (fonte Sole 24 Ore). “La transizione – scrive Nicoletta Cottone in un articolo pubblicato sul quotidiano della Confindustria – è un importante fattore di competitività”. A quanto risulta, infatti, sono 571.040 le imprese italiane – circa un terzo del totale – che negli ultimi cinque anni hanno investito sulla green economy, affrontando la crisi meglio delle altre. E questo si deve, innanzitutto, all’utilizzo delle fonti rinnovabili, come il sole e il vento.
Nel frattempo, l’Italia conferma il primato raggiunto nell’economia circolare a livello europeo. E detiene la più alta percentuale di avvio al ciclo dei rifiuti: 91,6%, un tasso di gran lunga superiore alla media europea che si attesta intorno al 57,9%. Commenta Ermete Realacci, ambientalista di lungo corso e presidente della Fondazione Symbola: “Siamo una superpotenza europea dell’economia circolare e questo ci rende più competitivi e capace di futuro”.
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