Sono 23 le priorità d’intervento che Legambiente indica nel suo “Piano nazionale di Ripresa e Resilienza”, per un’Italia più verde, più vivibile, innovativa e inclusiva. E perciò l’associazione ambientalista propone 63 progetti territoriali da realizzare, tra cui: energie rinnovabili, mobilità sostenibile, economia circolare, adattamento climatico e riduzione del rischio idrogeologico, ciclo delle acque, bonifiche dei siti inquinati, innovazione produttiva, rigenerazione urbana, superamento del digital divide, infrastrutture verdi, turismo, natura e cultura. Da qui, la richiesta di 5 riforme trasversali necessarie per accelerare la transizione ecologica del Paese per renderlo più moderno e sostenibile, dando il via a una nuova stagione della partecipazione e della condivisione territoriale.
Convocata e audita in Parlamento dalla Commissione Ambiente della Camera, l’associazione offre così il suo “Recovery Plan verde”, per trasformare la Penisola da qui al 2030 se saprà utilizzare al meglio le opportunità e le risorse che l’Europa ha messo a disposizione dell’Italia con il Next Generation EU: 209 miliardi, di cui 82 a fondo perduto e 127 di prestiti. Il documento è stato elaborato attraverso un confronto durato cinque mesi con istituzioni, imprese, associazioni, sindacati, attraverso una scrittura collettiva e condivisa.
Il faro che ha guidato Legambiente nella redazione del suo Piano è la lotta alla crisi climatica che riguarda trasversalmente le 23 priorità nazionali d’intervento. Nel suo dossier, inoltre, l’associazione descrive – regione per regione – quelle che a suo avviso sono le opere da realizzare e quelle da evitare, suggerendo in maniera chiara come spendere i circa 69 miliardi di euro destinati per la “Rivoluzione verde e transizione ecologica” e i 32 miliardi destinati alle “Infrastrutture per la mobilità sostenibile”.
PROGETTI DA FINANZIARE – Oltre all’Alta Velocità nel Centro-Sud, Legambiente indica le reti ferroviarie di Sicilia, Calabria, Basilicata, Molise, Campania, Sardegna, Toscana, Umbria, Emilia Romagna, Trentino Alto Adige, Veneto e Lombardia; l’elettrificazione dei porti; l’idrovia Padova Venezia; la chiusura dell’anello ferroviario di Roma; gli interventi per ridurre gli impatti ambientali nelle acciaierie (l’ex Ilva di Taranto e l’impianto di Cogne ad Aosta) alla riconversione del distretto dell’Oil&Gas di Ravenna (puntando sulla nuova filiera dell’eolico e del fotovoltaico offshore e della dismissione delle piattaforme non più operative), la riconversione delle centrali a carbone ancora attive e i progetti sull’agro-ecologia in Puglia, Umbria, Emilia Romagna e Trentino. Si passa, quindi, alla realizzazione di digestori anaerobici per il trattamento della frazione organica differenziata, con produzione di biometano e compost di qualità, in ogni provincia in Sicilia, Calabria, Campania, Basilicata, Abruzzo, Marche, e Liguria (in provincia di Imperia, La Spezia, a Genova e nel Tigullio) e quelli per trattare gli scarti agricoli, i reflui zootecnici e i fanghi di depurazione. E poi le delocalizzazioni degli edifici a rischio idrogeologico in Calabria, Sardegna e Umbria; la decarbonizzazione delle isole minori in Sicilia; la digitalizzazione nelle aree interne e una nuova fruibilità turistica delle aree montane come nelle Marche, dove andrebbero finanziate le connessioni ciclopedonali, che mancano, tra Appennino e costa adriatica; la riqualificazione dell’edilizia popolare (messa in sicurezza ed efficientamento energetico) e degli istituti scolastici in Campania; il progetto integrato sulla “città adriatica” nelle Marche.
PROGETTI DA EVITARE – Tra quelli che l’associazione ambientalista boccia, figurano l’impianto di cattura e stoccaggio di CO2 proposto da Eni a Ravenna; il Ponte sullo Stretto di Messina; quelli legati alla produzione di idrogeno da fonti fossili; i nuovi invasi; gli impianti TMB per il trattamento meccanico biologico dei rifiuti; gli impianti di innevamento artificiale e di risalita al di sotto dei 1.800 metri d’altezza; gli incentivi legati all’acquisto dei veicoli a combustione interna.
CRITICHE AL PNRR DEL GOVERNO – Per Legambiente, gli anni fino al 2030 saranno cruciali per fronteggiare l’emergenza climatica: per questo non deve essere sprecata la grande opportunità del PNRR per diventare un paese moderno; per liberarsi da zavorre, emergenze ambientali croniche, progetti e inadempienze che provocano procedure d’infrazione da parte dell’Europa; e soprattutto per superare lo shock causato dalla pandemia. A oggi, purtroppo, il PNRR predisposto dal governo, non ha ancora imboccato con determinazione questa strada. Secondo l’associazione ambientalista, si tratta di un piano privo di una bussola, dove la grande assente tra le priorità trasversali è proprio la crisi climatica (che andrebbe affiancata a parità di genere, Sud e giovani) e dove manca la messa a punto di obiettivi, strumenti e interventi dettagliati, coerenti e integrati tra loro, tale da delineare la visione del Green Deal Italiano e le tappe della transizione per tradurlo in realtà.
Nel Piano governativo arrivato in Parlamento il 15 gennaio 2021, non compare più infatti l’allegato con le schede-progetto circolato il 29 dicembre scorso e questo non rende possibile un’analisi approfondita e puntuale. Ma una descrizione più generale di quello che si vuole finanziare c’è ed è sufficiente per valutare gli errori del Piano. Nel PNRR proposto dal governo, per esempio, alle opere ferroviarie per la connessione veloce vanno quasi 27 miliardi di euro (la fa da padrona l’Alta velocità e la velocizzazione della rete con poco meno di 15 miliardi di euro) e 18,5 all’efficientamento termico e sismico dell’edilizia residenziale privata e pubblica. Sono di gran lunga più contenute le risorse destinate a produzione e distribuzione di energia da fonti rinnovabili (9); al trasporto locale e alle ciclovie (7,5) a cui andrebbero destinate più risorse, all’economia circolare (4,5 miliardi di euro), che pure vede l’Italia come paese leader in Europa; il rischio idrogeologico (3,6), che interessa il 91,1% dei Comuni; l’agricoltura (2,5), motore indispensabile del “made in Italy” agroalimentare.
RIFORME NECESSARIE – La storia dell’Italia ricorda che non bastano i finanziamenti europei per realizzare le opere pubbliche necessarie, ma servono anche riforme in parallelo. È necessario organizzarsi velocemente e in modo diverso, per garantire qualità dei progetti, velocità della spesa e certezza del rispetto delle regole. Per questo, l’associazione ambientalista indica nella sua proposta di PNRR le numerose riforme necessarie per ciascuna delle 23 priorità di intervento individuate, a cui se ne affiancano altre 5 trasversali, da mettere in campo per accelerare la transizione ecologica:
1) Velocizzare l’iter autorizzativo con le semplificazioni all’iter di approvazione dei progetti.
2) Combattere la concorrenza sleale con il miglioramento qualitativo dei controlli ambientali attraverso il potenziamento del Sistema Nazionale di Protezione dell’Ambiente.
3) Istituire una governance efficace con una Struttura di missione presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri sul modello di quanto già fatto, con risultati incoraggianti, sul rischio idrogeologico e sull’edilizia scolastica.
4) Aumentare le competenze della pubblica amministrazione con un vasto programma di formazione e aggiornamento professionale.
5) Ridurre i conflitti territoriali con una nuova legge sul dibattito pubblico per la condivisione e la partecipazione di cittadini e istituzioni locali che potenzi quanto già previsto da Codice degli appalti e Valutazione di impatto ambientale.
https://www.legambiente.it/wp-content/uploads/2021/02/proposte-Legambiente-per-PNRR.pdf