di Giovanni Valentini
S’intitolava proprio così, “Ghiaccio bollente”, una vecchia canzone di Tony Dallara. Ed era chiaramente un ossimoro, un paradosso musicale. Ma oggi può diventare una metafora dell’emergenza climatica planetaria e dei suoi effetti devastanti nel nostro amato Belpaese: cioè un segnale d’allarme, un avvertimento che scotta.
A causa del riscaldamento globale, prodotto dall’inquinamento atmosferico e dall’effetto serra, il Ghiacciaio Planpincieux del Monte Bianco, in Val d’Aosta, rischia di crollare. Una massa di circa 250mila metri cubi minaccia di abbattersi come una maxi-valanga su una parte dell’abitato in quella zona. Il sindaco di Courmayeur, Stefano Miserocchi, ha deciso perciò di chiudere la strada comunale per la Val Ferret e quella interpoderale per Rochefort, ordinando l’evacuazione di alcuni immobili.
Per il momento, la situazione è sotto controllo: a quanto pare, le case e gli abitanti non sono i pericolo. I tecnici della Protezione civile, intanto, hanno installato un radar per monitorare lo scioglimento progressivo del ghiacciaio che si muove a una velocità di circa 30-35 centimetri al giorno, da cui s’è staccato un piccolo blocco frontale – pari a più del 10% del totale – che ha raggiunto i 50-60 centimetri al giorno. E come nelle tribù indiane, in Val Ferret si fa la “danza della pioggia” per invocare il freddo e la neve, con la speranza che lo slittamento si fermi o almeno rallenti.
Quel “ghiaccio bollente”, però, rappresenta anche un’inquietante smentita per tutti coloro che finora hanno negato, sottovalutato o rimosso i pericoli del riscaldamento globale. Quasi che fosse un problema lontano, remoto, di là da venire. Oppure, una manifestazione di allarmismo o catastrofismo da parte degli ambientalisti.
A parte il rischio che incombe ora sulla Val d’Aosta, la frana del Planpincieux minaccia già di produrre effetti negativi sul paesaggio, sul turismo e quindi sull’economia di quella regione e dell’intero arco alpino. E anche se non dovesse mai crollare, come tutti auspichiamo, quella massa di 250mila metri cubi sarebbe comunque una “spada di Damocle” sulla testa degli abitanti e dei visitatori. Un incubo collettivo che danneggia l’immagine e l’attrattiva di quelle incantevoli montagne.
Che cosa si può fare per impedire il peggio? Gli amministratori locali, i tecnici e gli esperti hanno già fatto quello che era possibile. E certamente continueranno a farlo. Ma ancora una volta il segnale rosso del Ghiacciaio Planpincieux chiama in causa la responsabilità di tutti noi di fronte all’Ambiente, ai nostri figli e nipoti.
Non abbiamo alcun diritto di distruggere il patrimonio naturale ricevuto in eredità dalle generazioni precedenti. Abbiamo, anzi, il dovere di conservarlo e salvaguardarlo per quelle future. Ma allora dobbiamo modificare il nostro modello di sviluppo economico-sociale, risparmiare le risorse ambientali, consumare di meno e meglio, per evitare l’Apocalisse prossima ventura con l’innalzamento dei mari e l’abbassamento delle montagne.
Sarà pure ispirata e gestita da qualcuno la sedicenne Greta Thunberg, l’attivista svedese che ha scosso l’opinione pubblica internazionale, mobilitando in particolare i più giovani. Ma anche se fosse soltanto una testimonial, come sostengono i suoi detrattori e i nemici dell’Ambiente, che cosa importa? “Avete rubato i miei sogni”, ha tuonato lei con la sua vocina nei giorni sorsi al vertice dell’Onu sul clima a New York. Milioni di ragazzi e ragazze in tutto il mondo sono scesi in piazza per unirsi in coro alla sua denuncia e alla sua protesta. E non l’hanno fatto tanto per “bigiare” un giorno di scuola, come insinuano malignamente certi negazionisti di casa nostra. L’hanno fatto piuttosto per difendere il loro sacrosanto diritto a vivere e a crescere su questa Terra nelle condizioni ambientali migliori possibili.