Inquinati, imbrigliati, sbarrati, ingabbiati dal cemento. Istituita nel 2005 per sensibilizzare l’opinione pubblica e incoraggiare una migliore gestione dei corsi d’acqua, s’è celebrata domenica 25 settembre la Giornata mondiale dei fiumi. Una campagna ecologica che punta a promuovere la loro conoscenza e l’importanza della loro conservazione. E in Italia, dopo il disastro che ha colpito le Marche proprio a causa dell’esondazione del fiume Mesa, il tema torna drammaticamente d’attualità per via del crescente consumo di suolo che danneggia il territorio e il suo assetto idrogeologico.
Dall’allarme siccità all’emergenza alluvione, in poche settimane siamo passati così da un estremo all’altro. Il 60% dei fiumi, per di più, risulta chimicamente inquinato. Quasi fossero discariche a cielo aperto, nei corsi di acqua dolce vengono sversati illecitamente pesticidi, antibiotici, microplastiche e rifiuti vari.
In base ai dati forniti dall’ultimo Rapporto ISPRA (Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale), meno della metà dei nostri fiumi si trova in buono stato ecologico. E nonostante l’urgente necessità di ripristinare gli ecosistemi degradati, affrontando le cause principali della perdita di biodiversità, gli interventi risultano insufficienti e tardivi, com’è avvenuto nelle Marche e come Amate Sponde ha già ampiamente riferito nei giorni scorsi (https://www.amatesponde.it/unalluvione-di-ritardi/).
Il fatto è che negli ultimi anni s’è costruito dove non si doveva, gettando asfalto e cemento ovunque. In ogni regione abbiamo costretto i corsi d’acqua in alvei ristretti e abbiamo ridotto le zone di esondazione naturale, rendendole insufficienti a contenere le piene. La stessa cassa d’espansione progettata per il Mesa dev’essere ancora realizzata. Un mix di incuria e negligenza.
Ma i fiumi rappresentano una rete idrica insostituibile per il territorio, garantendo il ciclo dell’acqua e costituendo un habitat favorevole per numerose specie viventi. Sono fondamentali anche per la nostra vita, perché forniscono acqua potabile ed energia idroelettrica: non è un caso che le principali civiltà e le rispettive città siano sorte proprio sugli argini dei fiumi.
Eppure, i fiumi sono tra gli ambienti naturali più minacciati. Vengono modificati dalla mano dell’uomo non solo nella loro struttura geografica, ma anche nella loro composizione fisico-chimica. L’inquinamento ha privato alcuni corsi d’acqua quasi completamente di forme di vita, alterando la composizione della fauna attraverso il prelievo della pesca e con l’immissione di innumerevoli specie estranee agli ecosistemi.
Che cosa fare, dunque? La soluzione più efficace sul lungo periodo, sostiene il WWF, è quella di ripristinare lo stato naturale dei fiumi. Una scelta vincente tanto per la sicurezza dei cittadini, quanto per le casse dello Stato. “La rinaturazione è indispensabile per favorire il sempre più urgente adattamento ai cambiamenti climatici, ma è anche conveniente: da alcuni studi, per esempio, sull’industria della restoration ecology risulta che gli effetti occupazionali totali vanno da 10,4 a 39,7 posti di lavoro per 1 milione di dollari investiti, mentre con l’industria petrolifera e del gas ne supporta circa 5,3 posti per 1 milione di dollari investiti» conclude il WWF.
CONSUMO DI SUOLO – Quanto al consumo di suolo complessivo sulla nostra Penisola, il 2021 – secondo l’Ispra – ha segnato un record negativo: oltre due metri quadrati al secondo, il valore più alto nell’ultimo decennio. Nel complesso, si sono sfiorati i 70 chilometri quadrati di nuove coperture artificiali.
Il cemento ricopre ormai 21.500 chilometri quadrati di suolo nazionale. I soli edifici rappresentano il 25% dell’intero suolo consumato, pari a 5.400 chilometri quadrati: un territorio grande quanto la Liguria. Tra il 2006 e il 2021, l’Italia ne ha persi 1.153 di suolo naturale o seminaturale, con una media di 77 all’anno. Questo porta a un danno economico stimato in quasi 8 miliardi di euro annui. La perdita è avvenuta “a causa principalmente dell’espansione urbana e delle sue trasformazioni collaterali che, rendendo il suolo impermeabile, oltre all’aumento degli allagamenti e delle ondate di calore, provoca la perdita di aree verdi, di biodiversità e dei servizi ecosistemici”.
Oltre il 70% delle trasformazioni nazionali si concentra nelle aree cittadine, cancellando proprio i suoli candidati alla rigenerazione. Il Veneto è la regione che ha la maggior superficie di edifici rispetto al numero di abitanti (147 metri quadrati per abitante), seguita da Friuli-Venezia Giulia, Emilia-Romagna e Piemonte, tutte con valori superiori ai 100 metri quadrati per abitante. I valori più bassi si registrano, invece, nel Lazio, in Liguria e in Campania, rispettivamente con 55, 60 e 65 metri quadrati per abitante.
Il consumo di suolo è dovuto principalmente all’aumento degli edifici. Si tratta di un aumento costante, oltre 1.120 ettari in più in un anno distribuito tra aree urbane (32%), aree suburbane e produttive (40%) e aree rurali (28%). Il Rapporto suggerisce perciò di intervenire sulla riqualificazione degli oltre 310 km quadrati di edifici non utilizzati e degradati esistenti in Italia, una superficie pari all’estensione di Milano e Napoli.