Saranno inaugurate il 17 maggio le Gallerie d’Italia a Torino, il nuovo museo di Intesa Sanpaolo in piazza San Carlo, dedicato in particolare alla fotografia d’autore e alla sua storia. E per l’occasione, saranno due le mostre in programma che resteranno aperte entrambe fino al 4 settembre. Una, intitolata “La fragile meraviglia. Un viaggio nella natura che cambia”, sarà dedicata al lavoro di Paolo Pellegrin con la curatela di Walter Guadagnini e il contributo di Mario Calabresi. L’altra, “Dalla guerra alla luna 1945-1969. Sguardi dall’Archivio Publifoto Intesa Sanpaolo”, curata da Giovanna Calvenzi e Aldo Grasso, ha l’obiettivo di valorizzare e rendere fruibile il patrimonio dell’Archivio Publifoto di Intesa Sanpaolo, proponendo un ritratto per immagini dal dopo-guerra agli anni dell’espansione economica. Una doppia occasione per visitare la nuova sede museale presso Palazzo Turinetti, appena ristrutturato per ospitare la collezione permanente dell’Archivio Publifoto, proprietà della Banca.
LA FRAGILE MERAVIGLIA. UN VIAGGIO NELLA NATURA CHE CAMBIA
La rassegna mette in mostra il lavoro del fotogiornalista italiano Paolo Pellegrin, attraverso i suoi reportage fotografici dedicati a un tema di grande attualità, come quello del cambiamento climatico. Rappresentano una committenza originale che ha visto impegnato Pellegrin in Paesi come Namibia, Islanda, Costa Rica, Italia per fornire una personale lettura per immagini del rapporto tra l’uomo e il suo ambiente naturale, tema cruciale della contemporaneità.
L’autore è uno dei maestri indiscussi della fotografia contemporanea internazionale. Nel corso della sua lunga carriera, ha saputo documentare la realtà della nostra epoca con una rara consapevolezza del duplice ruolo della fotografia: da un lato, testimonianza del reale e, dall’altro, strumento di indagine della soggettività.
La mostra, a cura di Walter Guadagnini, nasce come prima committenza di Intesa Sanpaolo che ha impegnato Pellegrin nella realizzazione di un corpus di immagini dedicate a uno dei temi centrali della contemporaneità: il rapporto tra l’uomo e la natura. Il nuovo museo è infatti dedicato alla fotografia, si propone di diventare uno spazio che si interroga sul futuro e agisce come testimone del proprio tempo: da qui la scelta di mettere in mostra progetti inediti che indagano i temi caldi dell’attualità, dal cambiamento climatico alla parità di genere, dalla pace alla lotta alla povertà.
Il fotoreporter ha viaggiato per oltre un anno alla ricerca di immagini che immortalassero la grandiosità della natura: dall’Islanda alla Groenlandia, dalla Sicilia al Trentino Alto-Adige, dalla Namibia al Costarica, i suoi scatti si raccolgono attorno alla presenza dei quattro elementi naturali (terra, acqua, aria e fuoco), sui quali l’umanità si interroga da sempre, in una sorta di interpretazione metaforica e spirituale che scavalca le rigidità delle conoscenze scientifiche. Un viaggio per il mondo che accomuna il vicino e il lontano nelle implicazioni che derivano dal cambiamento nel nostro ecosistema.
Se in uno dei suoi lavori precedenti, un reportage pubblicato sul settimanale Time nel 2018, l’autore puntava l’obiettivo sui ghiacciai dell’Antartide in via di scioglimento, affrontando in maniera diretta il tema del cambiamento climatico, questa volta il fotografo si rivolge alla natura con uno sguardo memore delle poetiche del “sublime”, dove il fascino nasce dalla dismisura, il bello dalla paura. Nei suoi scatti ne coglie le diverse manifestazioni, individuando come caratteristica primaria e costante quella «fragile meraviglia» che dà il titolo alla mostra e all’intero progetto.
Allontanandosi dunque dall’idea di reportage classico, a cui Pellegrin è stato fedele per molto tempo, la sua fotografia si traduce in visioni di superfici e paesaggi che celebrano la forza dirompente dell’elemento naturale, provocando nell’osservatore una reazione ambivalente: in bilico tra fascino e timore, è inevitabile che ciascuno si trovi a riflettere sul proprio ruolo nel mondo e sul proprio rapporto con l’ambiente.
Se è vero che l’immagine fotografica trova il suo massimo grado di completezza solo nello sguardo dell’osservatore, come piace pensare all’autore delle opere in mostra, in questo caso il punto di vista di chi guarda diventa ancora più cruciale, perché per la prima volta nella sua lunga carriera il fotografo rinuncia pressoché totalmente alla presenza dell’uomo nelle sue immagini: benché compaia come figura sfuggente in alcuni scatti, l’essere umano si materializza da un lato come osservatore, meravigliato e sopraffatto dalla maestosità del naturale, e dall’altro come agente di una trasformazione che ha conseguenze irreversibili sulla vita della Terra.
Soprattutto nella produzione più recente, la fotografia di Pellegrin trova una corrispondenza simbolica nell’idea del processo sottrattivo tipico della scultura: dove il blocco di marmo viene scavato per arrivare al fulcro della propria visione, allo stesso modo il fotoreporter toglie per aggiungere significato, l’assenza della figura umana si traduce dunque nella presa di consapevolezza del suo ruolo. Fotografare un iceberg, un ghiacciaio o gli alberi bruciati negli incendi in Australia (unica serie nata prima della committenza entrata a far parte di questo progetto) significa parlare dell’uomo e della sua azione, ponendo l’accento su quello che è il suo rapporto con lo spazio in cui abita e, allo stesso tempo, con il grado più primitivo di sé stesso.
In mostra immagini, video e installazioni che trasformano lo spazio delle Gallerie d’Italia – Torino in un luogo di apparizioni, più che di semplice esposizione. Il pubblico è invitato a osservare la maestosità della natura nella sua versione più pura e meditativa, confrontandosi con immagini che come la Terra subiscono mutazioni visive e materiali: abbandonano così la pretesa di raccontare verità assolute a favore di una narrazione visionaria ed enigmatica.
Ad accompagnare la mostra, un volume edito da Gallerie d’Italia | Skira, con contributi di Mario Calabresi che da anni segue con attenzione il lavoro di Pellegrin.
DALLA GUERRA ALLA LUNA 1945-1969
Attraverso una selezione di circa ottanta scatti, la mostra racconta l’Italia che rinasce dalle macerie del secondo conflitto mondiale, il piano Marshall con cui l’America l’aiuta a ripartire, il boom degli anni ’60 e l’avvento della televisione, la motorizzazione di massa e i sogni legati alla conquista della luna. Per capire l’Italia di oggi è quanto mai opportuno un tuffo nel passato, che illustri passo a passo quel che il Paese è stato ed è diventato nella seconda metà del secolo scorso. Nel 1945 l’Italia è un Paese in ginocchio: esce da 20 anni di fascismo e da cinque di guerra. È un Paese letteralmente “a terra”: bisogna ricostruire il tessuto sociale, l’economia, ma anche le istituzioni politiche dopo la dittatura e il vuoto di potere, creatosi con l’armistizio, durato due anni.
Nelle immagini della rassegna vediamo le baracche (per abbatterle passeranno molti anni) che costellano le periferie delle grandi città, e le prime case popolari, costruite grazie al progetto Ina Casa. C’è palpabile l’euforia di quegli anni, con la nascita di nuovi giornali e il desiderio che accomuna tutti di ripartire.
È il periodo della costruzione dell’Autostrada del Sole e della motorizzazione di massa, che si realizza prima con la Vespa e poi con la Topolino (forse amaranto come nella canzone di Paolo Conte) e con la Cinquecento. Sono gli anni delle Olimpiadi di Roma, del Concilio Vaticano II, dei primi consumi di massa: le case si affollano di elettrodomestici, dal frigorifero alla lavatrice, dalla cucina economica al tostapane.
Il miracolo economico fu reso possibile da diverse ragioni: la generale ripresa dell’economia mondiale, la creazione del Mercato Comune Europeo, la costruzione di infrastrutture. La crescita riguardò soprattutto l’industria e permise un benessere inimmaginabile solo pochi anni prima. Ma non fu una crescita indolore, poiché non interessò tutto il Paese nello stesso modo.
Il boom economico a cui lo storico divario tra il Nord e il Sud e l’industrializzazione, appannaggio soprattutto del Settentrione, costrinse a una gigantesca migrazione interna dalle campagne meridionali alle città del Nord che cambiò profondamente il volto dell’Italia.
Nella mostra, alle immagini del lavoro in fabbrica si alternano quelle dei concorsi di bellezza. Ci sono le gare sportive e quelle canore, la costruzione dei ponti e dei grattacieli, la realizzazione della metropolitana di Milano. Senza però dimenticare le tragedie, quelle naturali, come l’alluvione del Polesine e di Firenze, e quelle causate dall’uomo, come il Vajont. Catastrofi che misero il Paese di fronte alle contraddizioni di una grande trasformazione che non aveva fatto i conti con il suo fragilissimo territorio.
Oltre a segnare il periodo cronologico rappresentato dal quarto di secolo dalla fine della guerra allo sbarco sulla luna , la mostra indica anche l’evoluzione dei media nella società italiana: un arco che inizia con la signora che ascolta la radio mentre sferruzza e si chiude con la magica serata del luglio 1969, quando tutto il Paese assiste in televisione a un’avventura capace di illudere che il mondo sarebbe cambiato: “Un piccolo passo per l’uomo, un grande passo per l’Umanità”, come lo definì l’astronauta americano Neil Armstrong camminando per la prima volta sul nostro satellite in quell’estate del 1969.
Il Catalogo è realizzato da Edizioni Gallerie d’Italia | Skira.