La definisce così, “La doppia rapina del Ponte sullo Stretto”, Tonino Perna in un articolo apparso sul Manifesto. Ai danni per il territorio, s’aggiunge il furto nelle casse regionali. Spiega l’autore: “Alla ricerca disperata di fondi per finanziare la prima tranche del Ponte sullo Stretto senza aumentare ancora il deficit di bilancio, il governo Meloni ha messo le mani sul Fondo di Sviluppo e Coesione relativamente alle quote riservate a Calabria e Sicilia”. La compartecipazione delle due regioni sarà di 1,6 miliardi di euro per il prossimo anno e la ricaduta sarà pesante: verranno tagliate in gran parte le risorse stanziate per le reti fognarie, per le infrastrutture ferroviarie locali, per il contrasto al dissesto idrogeologico e per il potenziamento dei servizi sociali nelle aree interne in via di spopolamento. Un’opera controversa e faraonica come il Ponte, insomma, impedirà di realizzare una serie di opere territoriali attese da anni.
Al blitz tentato dal ministro dei Trasporti, Matteo Salvini, s’è già opposto il presidente della Regione Sicilia, Renato Schifani (Forza Italia), mentre quello della Calabria, Roberto Occhiuto, è rimasto finora in silenzio. Ma le resistenze maggiori provengono dalle popolazioni più direttamente interessate, costrette ogni giorno a fare i conti con l’inadeguatezza delle infrastrutture a terra: strade, autostrade, linee ferroviarie. Una maxi-opera come il Ponte, infatti, si scontrerebbe con la mancanza o l’insufficienza di tante opere minori che verrebbero rinviate sine die, a causa della scarsità delle risorse disponibili. Questo, come osserva ancora Perna in polemica con la Lega di Salvini, sarebbe un “narcotico per addormentare il dibattito sulla famigerata autonomia differenziata che taglierebbe definitivamente le gambe a un terzo della popolazione italiana”.
Il paradosso è che la querelle rischia ora di ribaltare la gerarchia degli interventi da realizzare. Riferisce l’autore dell’articolo: “Se finora era vincente il discorso delle priorità per queste regioni (dalle ferrovie alle strade alla sanità) adesso non lo è più. Una parte rilevante dell’opinione pubblica locale è arrivata all’amara conclusione: ‘Non fanno niente, solo chiacchiere, allora vediamo se lo fanno veramente questo ponte…’. E non pochi aggiungono: ‘Se fanno il ponte saranno costretti a fare le altre infrastrutture che servono…’. Ed è questa la parola d’ordine di Salvini che è stata metabolizzata da una buona parte della popolazione locale”.
Ora, informa il giornalista Giacomo Salvini sul Fatto Quotidiano, il vicepremier e ministro dei Trasporti e Matteo Salvini pretende anche di nominare tutti i 42 commissari alle 120 Grandi opere dei cantieri in ritardo nominati dai governi precedenti, in scadenza nel 2025. Il valore complessivo dei lavori è di 130 miliardi di euro, ma finora ne sono stati spesi appena 6,5 sui 69 stanziati.
Fatto sta, però, che la questione dei fondi resta decisiva. Tant’è che lo stesso ministro ha dovuto attingere alle casse regionali, a scapito proprio degli interventi locali già programmati da anni. Conclude Perna sul Manifesto: “Bisognerebbe riprendere seriamente l’analisi dell’impatto di questa infrastruttura che non è una protesi, come viene presentata dai media, la comporta uno sconvolgimento spaventoso delle opere che sono necessarie per arrivare al Ponte”.
Un esempio significativo lo offre Giandomenico Crapis, con un articolo pubblicato sul Fatto Quotidiano. “Ponte sullo Stretto?”, si domanda nel titolo. Risposta più che eloquente: “Da Bari a Reggio ci vogliono otto ore”. E spiega: “A oggi non c’è nessuna idea sull’impatto ambientale, sui costi di collegamento con autostrada e ferrovia, che significa viadotti, gallerie, colate di cemento a decine di metri di altezza: uno scempio per uno degli scenari più suggestivi al mondo”.
Seguono altri esempi illuminanti. Da Palermo a Messina ci vogliono 3/4 ore di treno (220 km), altrettanto per andare da Palermo a Catania (200 km), da Palermo ad Agrigento i tempi sono rimasti quelli di mezzo secolo fa (due ore e passa per 120 km). E in Calabria, appunto, da Reggio a Bari in treno ci vogliono non meno di 8 ore, da Cosenza a Taranto almeno 3, da Catanzaro a Lecce 8.
La conclusione di Crapis è che “ammodernare questi sistemi, impresa più alla portata, insieme alle reti di comunicazione vetuste, magari fare del porto di Gioia Tauro il principale scalo europeo dotandolo di un sistema intermodale efficiente, darebbe un impulso formidabile alle economie locali e a quella del Paese, creando tantissimi posti di lavoro”. Senza dimenticare, poi, che l’autostrada Salerno-Reggio, inaugurata due volte da Matteo Renzi quando era presidente del Consiglio, “si presenta ancora per decine di km, nel tratto cosentino, stretta, pericolosa e senza corsia di emergenza”.
Un monumento all’arretratezza resta infine la “baraccopoli eterna” di Messina, come la chiama Maria Carla De Cesari sul quotidiano economico della Confindustria Il Sole 24 Ore, nata dopo il sisma del 1908. A distanza di oltre un secolo, ospita ancora 1.700 famiglie. E il rischio dei terremoti, in un’area particolarmente nevralgica come quella dello Stretto, rappresenta tuttora la più alta ipoteca sul progetto del Ponte di Salvini.