Se il Colosseo è il monumento italiano più noto al mondo, l’ultima “querelle” sulla ricostruzione dell’arena può essere considerata la sintesi di quella sindrome culturale che è un impasto di conservazione e protezionismo. Ripresa recentemente dal ministro Dario Franceschini, l’idea di ripristinare il piano di calpestio originario su cui si svolgevano gli spettacoli dei gladiatori era stata lanciata nel luglio 2014 sulla rivista “Archeo” da Daniele Manacorda, professore di Metodologia e tecnica della ricerca archeologica all’Università Roma Tre. Non un giornalista o uno storico dell’arte, dunque, bensì uno studioso della materia particolarmente qualificato e autorevole.
Apriti cielo! I talebani della cultura sono subito insorti contro il progetto di ricostruire in legno il piano dell’arena, per renderlo nuovamente calpestabile e realizzare un museo nei sotterranei ora a cielo aperto. E a maggior ragione sono scesi ora sul piede di guerra, dopo che Franceschini ha prospettato la possibilità di allestire in questo spazio “rappresentazioni uniche al mondo, con diritti tv sufficienti per restaurare tutta l’area archeologica centrale”.
È sintomatica la reazione di Giuliano Volpe, presidente del Consiglio superiore dei Beni culturali. “Ci vuole tutela – ha predicato – e ci vuole buona comunicazione che fronteggi la cattiva comunicazione, quella del sensazionalismo, dei misteri, della fanta-archeologia”. E a dimostrazione della sua personale capacità comunicativa, ha aggiunto che per evitare conservatorismi “servono anastilosi”: un termine tecnico che non è contemplato neppure nei più diffusi dizionari della lingua italiana, come il Garzanti o il Devoto-Oli, ma significa in pratica ricostruzioni, elemento per elemento, con i pezzi originali di un edificio andato distrutto.
Ecco una conferma, ove mai ce ne fosse bisogno, dell’atteggiamento elitario e burocratico che ispira larga parte dei nostri dirigenti culturali, a cominciare da numerosi Sovrintendenti. Per non lasciare dubbi, lo stesso Volpe s’è dichiarato contrario a trasformare l’area centrale dell’arena in un parco archeologico perché “sarebbe visitato soprattutto dai turisti e rischierebbe di diventare un non luogo che espelle i cittadini”. Capite? Un “non luogo”, un’attrattiva turistica, a danno della cittadinanza.
C’è da augurarsi, invece, che proprio nell’interesse della collettività il progetto di Franceschini proceda e venga realizzato rapidamente. Fin dalle origini, l’arena del Colosseo è sempre stata in realtà un luogo di spettacoli: cruenti e crudeli, certamente, ma pur sempre spettacoli popolari. Opporsi alle visite dei turisti significa avere una mentalità ottusa e retrograda. “Ricostruire l’arena com’è stata fino all’Ottocento – ha detto giustamente il ministro dei Beni culturali e del Turismo – è un modo per tutelare il monumento”, rendendolo appunto più accessibile e comprensibile. Un modello di valorizzazione, insomma, nel rispetto della storia e della cultura.