È in corso la decima edizione del censimento 2022 del FAI (Fondo Ambiente Italiano) sui “Luoghi del Cuore”, organizzato con la collaborazione di Intesa Sanpaolo. La partecipazione al censimento è aperta a tutti ed è gratuita. Si può votare fino al prossimo 15 dicembre, con un semplice clic attraverso il link pubblicato in calce a questo articolo oppure in forma cartacea. Vi presentiamo qui la classifica provvisoria dei primi dieci, aggiornata al 13 luglio, con il rispettivo punteggio registrato finora.
1 – LA PRIMA FERROVIA ITALIANA: 3667 voti. La Napoli – Portici, poi prolungata fino a Torre Annunziata e Castellammare di Stabia, è, in assoluto, la prima ferrovia italiana (nella foto principale). Il primo tratto fu inaugurato il 3 ottobre 1839 e il tratto di prova fino alla spiaggia del Granatello di Portici fu percorso in 9 minuti e mezzo. Un vero e proprio primato per il Regno delle Due Sicilie e per il suo re Ferdinando II, che volle fortemente l’opera destinata, nelle intenzioni originarie, a collegare successivamente la capitale con Brindisi e, con una seconda tratta, a collegare Pescara e Foggia. Fu tale la curiosità dei napoletani mista a orgoglio che nei primi due mesi di esercizio la ferrovia, nonostante avesse un solo binario, registrò un movimento di 130 mila viaggiatori. Qui, secondo la tradizione, sarebbe arrivato Giuseppe Garibaldi. Tutt’intorno alla stazione si aprirono numerose trattorie per accogliere i gitanti provenienti da Napoli.
Alla caduta dei Borbone e dopo alcuni anni di abbandono la vecchia stazione Bayard, pur restando nella proprietà delle Ferrovie dello Stato, cambiò destinazione d’uso e fu assegnata al Dopolavoro Ferroviario che nella sede napoletana volle realizzare un Teatro che chiamò Italia. La candidatura a I luoghi del Cuore nasce come ulteriore tentativo della Associazione Informazione Giovani Europa per evitare di perderne la memoria.
Allo stato solo una parte del vecchio edificio è stato recuperato ed utilizzato, fino a qualche giorno fa, per ospitare uffici comunali e per questo si presenta in un buono stato di conservazione. Lo stesso non si può dire del vecchio edificio destinato ai viaggiatori che è ancora in piedi ma minacciato dagli alberi che ne stanno sgretolando le mura. Resistono pilastri portanti con la rivestitura di mattoncini di cotto. Secondo il progetto la stazione dovrebbe essere collegata alla Circumvesuviana mediante una sorta d’ingresso d’onore rappresentando, di fatto, la porta d’accesso all’area archeologica di Ercolano e di Pompei.
2 – SPIAGGIA DELLA PILLIRINA (Siracusa): 2819 voti (nella foto qui sopra). Dalla spiaggia dorata al mare cristallino, dalle latomie costiere, ai silos e alle fornaci greche, dalle numerose tombe a pozzetto dell’età del bronzo, alla miriade di fossili del Pleistocene fino ai resti di una batteria militare risalente alla seconda guerra mondiale. Un luogo teatro della battaglia navale tra Atene e Siracusa bagnato dalle acque dell’area marina protetta del Plemmirio da dove poter godere di una impareggiabile vista su Ortigia che attende di diventare parte della grande riserva terrestre Capo Murro di Porco e Penisola Maddalena.
3 – SCALA DEI TURCHI (Agrigento): 2330 voti. La Scala dei Turchi è una parete rocciosa (falesia) che si erge a picco sul mare lungo la costa di Realmonte, vicino a Porto Empedocle, in provincia di Agrigento. Si erge fra due spiagge di sabbia fine e dalla sommità si scorge tutta la costa agrigentina; è diventata nel tempo un’attrazione turistica sia per la singolarità della bianca scogliera, dalle peculiari forme, sia a seguito della popolarità acquisita con i romanzi del commissario Montalbano dello scrittore Andrea Camilleri.
La Scala, imbrattata nei mesi scorsi di vernice rossa dai vandali (nelle foto sopra), è costituita di marna, una roccia sedimentaria di natura calcarea e argillosa. Ha una forma ondulata e irregolare, con linee non aspre bensì dolci e rotondeggianti. Il nome deriva, oltre che dal particolare aspetto a gradoni, anche dalle passate incursioni di pirateria da parte dei saraceni che trovavano riparo in questa zona meno battuta dai venti e quindi più sicura per l’approdo. Nell’agosto del 2007, il Comune di Realmonte ha presentato all’UNESCO una richiesta ufficiale affinché questo sito geologico, insieme alla villa romana, sia inserito nell’elenco dei Patrimoni dell’Umanità.
4 – CASTELLO E PARCO DI SAMMEZZANO (Firenze): 2293 voti. Tenuta di caccia in epoca medicea, nella seconda metà dell’Ottocento il Castello fu completamente riprogettato in stile orientalista dal suo eclettico proprietario, il marchese Ferdinando Panciatichi Ximenes. Edificio senza pari in Italia, Sammezzano è una rievocazione di capolavori architettonici di arte moresca, con 13 sale monumentali e un parco con numerose specie arboree. Trasformato in hotel di lusso, nel 1999 il complesso venne acquistato da una società che intendeva farne un resort. Il progetto si è arenato per problemi economici, portando al susseguirsi di quattro aste giudiziarie.
Le condizioni del Castello, ormai privo di tutti i suoi arredi storici, sono progressivamente peggiorate. Due appassionati Comitati locali da tempo sono attivi a favore del Bene e lavorano per tenere alta l’attenzione nei suoi confronti. Nel dicembre 2019 il Castello di Sammezzano è stato inserito tra i finalisti dei “7 most endangered”, programma sul patrimonio europeo in pericolo promosso dall’Associazione Europa Nostra.
5 – VILLAGGIO OPERAI DI CRESPI D’ADDA (Bergamo): 1717 voti. Nel Nord Italia, in Lombardia, a metà strada tra Milano e Bergamo, si trova una pianura delimitata da due fiumi: l’Adda e il Brembo. I due fiumi formano una penisola denominata “Isola Bergamasca” e, sulla sua punta, dove il fiume Brembo confluisce nel fiume Adda, si trova il Villaggio.
In questa area, fornita allora di acqua in abbondanza, due imprenditori tessili e filantropi, Cristoforo Benigno Crespi e suo figlio, Silvio Benigno Crespi decisero di dare vita al loro concetto di “città del lavoro ideale e moderna”. Il cotonificio ha operato dal 1878 fino al 2004 e dal 1995 l’intero Villaggio è un sito, ancora straordinariamente intatto, dichiarato patrimonio dell’UNESCO in quanto esempio eccezionale di villaggio operaio della fine del XIX e dell’inizio XX secolo.
Il suo assetto urbanistico e architettonico è pressoché inalterato, anche se nel corso degli anni alcune condizioni sono cambiate. Gli abitanti del Villaggio erano soltanto i dipendenti della fabbrica e i loro familiari, in questo senso la vita della comunità ruotava tutta intorno al cotonificio, alla sua velocità. Era l’imprenditore a preoccuparsi di tutte le esigenze dei suoi dipendenti e delle loro famiglie. Questi bisogni includevano case con giardino e tutti i luoghi pubblici necessari a una reale e funzionante vita comunitaria: la chiesa, la scuola, l’ospedale, il circolo ricreativo, il teatro, dei bagni pubblici, una piscina, dei negozi e persino dei campi sportivi e un parco.
6 – CIRCOLO COMBATTENTI E REDUCI (Milano): 1422 voti. Oggi il Circolo Combattenti e Reduci di Porta Volta rischia di scomparire, e con lui uno degli ultimi luoghi di Milano ancora in grado di trasmettere non solo la memoria storica di un tempo passato, ma i valori e le tradizioni che hanno fatto innamorare il mondo dell’Italia. L’antico Dazio di Porta Volta diventa Circolo del Combattenti nel 1919, un nuovo progetto urbanistico di Milano, in via di sviluppo, porterebbe alla scomparsa del giardino e del suo glicine, cuore pulsante del Circolo.
All’interno dell’antico Casello Daziario e nel suo giardino si trovano insieme i soci veterani, che frequentano il circolo da più di quarant’anni, e i ragazzi più giovani che all’ingresso non possono evitare di manifestare l’allegria di scoprire un luogo segreto pieno di memoria, unico e resistente al cambiamento e alle mode della città. Queste generazioni si intrecciano durante tutta la giornata, fino a sera, tra i tavoli con i giochi delle carte e le sfide al ping pong, tra i ragazzi che arrivano presto a studiare sotto il glicine e quelli meno giovani che nel tavolo accanto raccontano la vecchia Milano.
Il Circolo Combattenti e Reduci, cosciente della ricchezza che custodisce dietro le sue porte, si impegna in modo costante a mantenere le tradizioni, affinché queste vengano scoperte anche dai più giovani, salvaguardandone la memoria attraverso la commemorazione delle ricorrenze storiche, promuovendo manifestazioni culturali e attività artistiche atte a creare un legame generazionale, permettendo una continuità della memoria storica. Oggi il circolo rischia di scomparire e con lui un pezzo importante della storia di Milano degli ultimi cent’anni.
7 – CIVITA DI BAGNOREGIO (Viterbo): 1403 voti. Civita è una frazione del comune di Bagnoregio, in provincia di Viterbo, nel Lazio. Fa parte dei borghi più belli d’Italia, famosa per essere denominata “La città che muore“. Abitata stabilmente da una decina di persone e situata in posizione isolata, è raggiungibile solo attraverso un ponte pedonale in cemento armato costruito nel 1965[1]. Il ponte può essere percorso soltanto a piedi, ma recentemente i il Comune di Bagnoregio, venendo incontro alle esigenze di chi vive o lavora in questo luogo, ha emesso una circolare in cui dichiara che, in determinati orari, residenti e persone autorizzate possono attraversare il ponte a bordo di cicli e motocicli.
La causa del suo isolamento è la progressiva erosione della collina e della vallata circostante, che ha dato vita alle tipiche forme dei calanchi e che continua ancora oggi, rischiando di far scomparire la frazione, per questo chiamata anche “la città che muore” o, più raramente, “il paese che muore”. Civita venne fondata 2500 anni fa dagli Etruschi. Sorge su una delle più antiche vie d’Italia, congiungente il Tevere (allora grande via di navigazione dell’Italia Centrale) e il lago di Bolsena. All’antico abitato di Civita si accedeva mediante cinque porte, mentre oggi la porta detta di Santa Maria o della Cava, costituisce l’unico accesso al paese. La struttura urbanistica dell’intero abitato è di origine etrusca, costituita da cardi e decumani secondo l’uso etrusco e poi romano, mentre l’intero rivestimento architettonico risulta medioevale e rinascimentale.
8 – LA MADRE DI TUTTE LE STRADE (Pievepelago–Lucca): 1297 voti. La Via Vandelli è l’ultima delle strade antiche e la prima delle strade moderne. Fu voluta dal duca Francesco III d’Este per collegare la sua capitale Modena con Massa e il mar Tirreno. Realizzata nel 1739 dallo scienziato e cartografo Domenico Vandelli, era la più avveniristica delle strade carrozzabili e un paradigma della rivoluzione viaria settecentesca. Serviva per il commercio delle merci dalla Pianura Padana al porto di Marina di Avenza. Collega il Palazzo ducale di Modena e il Palazzo ducale di Sassuolo con il Palazzo ducale Cybo-Malaspina di Massa toccando anche il Palazzo ducale di Pavullo nel Frignano e la Rocca ariostesca di Castelnuovo di Garfagnana.
La via Vandelli attraversa il territorio appenninico del Frignano nel Modenese e la Garfagnane, per poi risalire le Alpi Apuane. In queste aree si aprono vasti paesaggi sulla valle del Panaro, sul monte Cimone fino al mare. Percorrendola si possono osservare diverse ofioliti (Varana, Sasso Tignoso), fenomeni geologici come i vulcani di fango e un lago termale, e un’emergenza del tutto particolare di un ponte naturale in arenaria detto Ponte Ercole o Ponte del Diavolo. Ma la vera peculiarità del cammino è costituita dai tratti di pavè originali ancora presenti, di cui i più notevoli si trovano nella Selva Romanesca nel comune di Frassinoro (MO), nella discesa da San Pellegrino in Alpe (LU).
L’infrastruttura sicuramente più imponente è rappresentata dai 6 chilometri di tornanti costruiti su muro a secco che scendono dal Passo della Tambura verso Resceto (MS). Lungo il percorso sono ancora perfettamente conservati alcuni edifici voluti dallo stesso Vandelli con la funzione di osterie, stazioni di posta e rifugi per i viaggiatori. Nel suo insieme si tratta dell’unico cammino che ripercorre esattamente il tracciato di una vera strada risalente all’Illuminismo.
9 – VALLE DEI TEMPLI (Agrigento): 1220 voti. La Valle dei Templi è un parco archeologico della Sicilia caratterizzato dall’eccezionale stato di conservazione e da una serie di importanti templi dorici del periodo ellenico. Corrisponde all’antica Akragas, monumentale nucleo originario della città di Agrigento. Dal 2000 è parco archeologico regionale. Dal 1997 l’intera zona è stata inserita nella lista dei patrimoni dell’umanità redatta dall’UNESCO. È considerata un’ambita meta turistica, oltre ad essere il simbolo della città e uno dei principali di tutta l’isola. Il parco archeologico e paesaggistico della Valle dei Templi, con i suoi 1300 ettari, è uno dei siti archeologici più grandi del Mediterraneo.
10 – CONVENTO SAN FRANCESCO DELLA VIGNA (Venezia): 1212 voti. La parrocchia di San Francesco della Vigna, istituita nel 1810 a seguito della fusione con le vicine Santa Giustina, Santa Ternita e Sant’Antonino, deve il suo nome al fatto che in origine il luogo in cui sorge era coltivato a vigneti, i più estesi e fecondi di tutta Venezia (appartenenti alla famiglia Ziani). Nei pressi di questi campi tuttora coltivati che, sebbene meno estesi di un tempo, costituiscono il più antico vigneto presente in città, sorgeva una piccola e modesta chiesa dedicata a San Marco: secondo una tradizione dell’epoca, era proprio questo il luogo dove aveva albergato l’evangelista durante una tempesta e gli era apparso poco dopo un angelo salutandolo con le parole “Pax tibi Marce Evangelista meus” (motto della Serenissima) e profetizzandogli la futura fondazione di Venezia. Nel suo testamento (datato 25 giugno 1253) Marco Ziani figlio del doge Pietro stabilì che i vigneti, la chiesa e alcune botteghe fossero lasciati o ai frati minori, o ai frati predicatori oppure ai cistercensi. Tra i tre alla fine ebbero la meglio i minori osservanti che si stabilirono definitivamente qui; ma poiché il loro numero andava sempre più aumentando si dovette ampliare il convento e si decise di erigere una nuova chiesa su disegno di Marino da Pisa (che venne chiamata proprio San Francesco della Vigna), lasciando tuttavia intatta quella precedentemente costruita e dedicata a San Marco.
Nel XVI secolo, l’edificio, a causa delle sue degradate condizioni statiche, dovette essere ricostruito. A seguito di un concorso, il progetto venne affidato a Jacopo Sansovino. La prima pietra fu posta il 15 agosto 1534 dal doge Andrea Gritti, tuttavia il cantiere subì una interruzione a causa di un dibattito sul progetto, durante il quale si consultò anche il frate Francesco Zorzi: la vicenda è analizzata nel volume “L’Armonia e i conflitti”, pubblicato nel 1983 da Manfredo Tafuri e Antonio Foscari.
La facciata è stata costruita dal celebre architetto veneto Andrea Palladio nel 1562 per Giovanni Grimani, patriarca di Aquileia, alla cui vicenda umana potrebbero riferirsi le due iscrizioni “Non sine jugi exteriori” e “Interiorique bello”. Finalmente completata, la chiesa venne consacrata il 2 agosto 1582 da Giulio Superchio, vescovo di Caorle.
All’interno del complesso conventuale è custodita una biblioteca le cui origini risalgono al XIII secolo. Se ne hanno notizie certe a partire dal 1437. Dal 2001 la biblioteca ha progressivamente acquisito 10 fondi librari antichi, e l’attuale patrimonio librario consiste di un fondo antico di corali, incunaboli, cinquecentine, manoscritti, libri dei secoli XVII, XVIII e XIX (circa 40.000): di un fondo moderno di circa 140.000 opere e di una sezione di riviste di 556 titoli per un totale di circa 20.000 volumi.
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