Con le “tendopoli” allestite all’interno delle Università, la protesta degli studenti fuori sede contro il caro-affitti ha fatto emergere una realtà finora trascurata o rimossa: quella dell’emergenza abitativa che riguarda tutto il territorio nazionale e colpisce una fascia sempre più ampia della popolazione. E in particolare, insieme agli universitari, i cittadini più poveri che rischiano di non avere più un tetto e anche la classe media che non riesce più a comprare un appartamento.
A fronte di questo bisogno diffuso, le case popolari disponibili sono appena 800mila, per tre quarti di proprietà delle Regioni e il resto dei Comuni: vale a dire circa il 3% del totale delle abitazioni italiane, una delle percentuali più basse d’Europa. Ma, come racconta Filippo Santelli in un ampio servizio apparso su la Repubblica, “sempre di più restano vuote, una su dieci, vista la cronica assenza di risorse per manutenzioni e ristrutturazioni”. E di quelle che rimangono, “una manciata – il 2% – viene riassegnata ogni anno a nuovi inquilini”. Il risultato è che “almeno 400mila nuovi nuclei restano in lista di attesa, senza contare chi neppure presenta domanda, scoraggiato o invisibile”.
Arriva al pettine, dunque, il nodo di un’edilizia pubblica abbandonata per decenni. All’inizio degli anni Novanta, fu abolito il Gescal, cioè il fondo che finanziava le case popolari con le trattenute in busta paga. Il patrimonio e le competenze furono trasferiti alle Regioni, le cui Aziende casa avrebbero dovuto sostenersi attraverso i canoni di locazione a prezzi “calmierati”. Ma nel tempo è accaduto che gli inquilini si sono sempre più impoveriti, le morosità sono aumentate e gli enti sono stati costretti a vendere (o a svendere) le case per far quadrare i bilanci.
“Bisogna realizzare almeno 200mila unità per rispondere a una domanda sociale drammaticamente cresciuta”, dichiara per esempio a Repubblica il presidente di Casa Spa Firenze, Luca Talluri. E questo, a suo avviso, è necessario anche per salvaguardare la tenuta del sistema pubblico ed evitare il rischio della privatizzazione. È il classico cane che si morde la coda, insomma: occorrono nuove case popolari per incassare un maggior numero di affitti e sostenere la gestione di questo patrimonio statale.
Quello di Roma è il caso più emblematico. Nella Capitale si contano circa 20mila senzatetto, con 15-17 mila persone che attualmente occupano immobili. E come ha scritto in un articolo sul Fatto Quotidiano l’ex ministro della Coesione territoriale, Fabrizio Barca, rappresentante del Forum Disuguaglianze Diversità, sono oltre 13mila i nuclei familiari in graduatoria per l’assegnazione di alloggi e oltre 5mila all’anno gli sfratti. Il Comune ha messo in bilancio una spesa di 220 milioni di euro per acquistare case popolari e anche alcuni edifici occupati per fare in modo che “gli abitanti passino dall’illegalità alla legalità”.
“Nel quartiere di Tor Sapienza – racconta Barca – dal 2009 l’ex salumificio Fiorucci è diventato la casa di oltre cinquanta nuclei familiari che hanno riutilizzato le infrastrutture dell’ex fabbrica per costruire abitazioni. Il nome del luogo oggi è Metropoliz, noto nel mondo perché vi è nato il Museo dell’Altro e dell’Altrove, con opere d’arte donate da oltre 500 artisti e artiste” (nella foto soptra). Secondo l’ex ministro, questo è proprio “il caso su cui puntare i riflettori anche perché proprio lì tutti noi paghiamo il prezzo degli errori passati e dunque abbiamo più spinta a rimediare”. Da qui, la sua proposta: “Roma-Governo può promuovere con Roma-Comune, in tempi rapidi e delimitati ma non irragionevoli, una delle strade doverose per affrontare l’emergenza abitativa, ossia legalizzare ciò che oggi è illegale: lo può fare insieme ad altre misure, a cominciare da un piano urgente di acquisto di abitazioni per l’edilizia pubblica e da adeguate misure fiscali”.
Per le case popolari, il Piano nazionale di ripresa e resilienza assegna 159 progetti, tra cui otto “pilota”: dalla riqualificazione delle baraccopoli sorte a Messina dopo il terremoto a quella di un’area degradata a Sud-Ovest di Milano. Ma la Corte dei Conti è già intervenuta per segnalare il ritardo nei bandi. E alla fine, se tutto va bene, le abitazioni nuove o ristrutturate saranno 16.500, di cui poco più di 11mila di vera e propria edilizia pubblica.
Su questa emergenza abitativa, incombe ora la minaccia del governo guidato da Giorgia Meloni di intensificare gli sfratti per rimuovere le occupazioni abusive. Non a caso, nella polemica innescata dalla protesta degli studenti in tutt’Italia, è intervenuta la segretaria del Pd, Elly Schlein, contestando all’esecutivo di aver “cancellato il fondo per gli affitti (300 milioni di euro – ndr) che è stato fondamentale anche negli anni della pandemia per dare un supporto a chi faceva fatica” e reclamandone il ripristino immediato. E lei stessa ha annunciato una grande campagna nazionale sul diritto alla casa. Anche Giuseppe Conte, leader del Movimento 5 Stelle, è intervenuto sull’argomento e s’è recato a visitare gli studenti attendati nei viali dell’Università La Sapienza di Roma per assicurare: “Siamo con voi”.
In Portogallo, intanto, la freguesia di Benfica, il quartiere di Lisbona da cui prende nome la titolata squadra di calcio, aprirà nel 2024 la prima residenza universitaria costruita da una giunta locale con una tecnica edilizia innovativa. La notizia è stata pubblicata dal quotidiano portoghese Público, con il rendering del progetto (nella foto sopra). L’edificio sorgerà in meno di un anno su un terreno attiguo alla stazione ferroviaria della metropolitana, per ospitare 120 studenti fuori sede con un costo di 3,9 milioni di euro interamente sostenuto dai fondi del l Pnrr. L’affitto costerà fra 77 e 288 euro al mese per ciascuno studente, con un prezzo medio di 162.