La domanda se l’è posta polemicamente il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, all’indomani del via libera definitivo dell’Europa alla direttiva sulle case green, con il voto contrario di Italia e Ungheria. Ma se la pongono a maggior ragione già da tempo i cittadini, italiani ed europei, di fronte a un provvedimento che implicherebbe costi altissimi per tutti: la stessa Commissione di Bruxelles stima che entro il 2030 occorreranno 275 miliardi di euro di investimenti annuali per la ristrutturazione e per la conversione ecologica degli edifici, nella lotta al riscaldamento globale e ai cambiamenti climatici che per effetto dell’inquinamento stanno devastando il pianeta.
Chi paga, dunque? Le famiglie, i singoli Stati, l’Europa? L’interrogativo incombe come un’ipoteca sui proprietari delle case. E in particolare su quelli italiani, visto che il nostro Paese ha il patrimonio immobiliare privato più vecchio: il 52% degli edifici dotati di certificazione energetica (Ape), pari a 2,8 milioni di unità secondo l’Enea, rientra nelle due classi peggiori. È vero che i governi nazionali avranno un’ampia discrezionalità per raggiungere gli obiettivi concordati e su quali edifici applicare queste regole. Ma in ogni caso la questione rimane sospesa come una spada di Damocle sulla testa dei cittadini.
A partire dal 2030, come spiega Giuseppe Colombo in un puntuale articolo su Repubblica, tutti i nuovi edifici residenziali dovranno essere costruiti in modo da avere “emissioni zero” e due anni prima quelli pubblici. Per tutti gli altri, sempre di proprietà pubblica, sono fissati requisiti di efficienza: almeno il 16% degli edifici con le peggiori prestazioni andrà ristrutturato entro il 2030 e il 26% entro il 2033. Per le case, invece, è prevista una riduzione del consumo energetico del 16% dal 2030 e del 20-22% entro il 2035.
In una dichiarazione riportata in un articolo di Francesca Basso sul Corriere della Sera, l’eurodeputata del Pd Patrizia Toia, vicepresidente della Commissione Industria del Parlamento europeo, precisa: “La direttiva sulle case green non impone alcun obbligo ai cittadini, ma chiede agli Stati nazionali di impostare politiche sensate e a lungo termine, mettendo anche a disposizione risorse europee, per migliorare l’efficienza energetica e la salubrità degli edifici”.
Per lo stesso giornale, il ministro dell’Ambiente, Gilberto Pichetto Fratin, ha rilasciato a Mario Sensini n’intervista in cui, spostando in avanti di vent’anni la scadenza, afferma: “Servono soldi e tempo, è il 2050 la scadenza più realistica”. E osserva: “L’Italia ha una storia e caratteristiche fisiche del tutto peculiari in Europa. Abbiamo il 70% dei fabbricati che ha oltre 70 anni, quindi sono edifici storici, una proprietà immobiliare diffusa, con l’80% delle famiglie che possiede un’abitazione, ed estremamente frazionata. Abbiamo due terzi degli edifici in zona montana o collinare, con 50mila piccoli borghi”.
Alla domanda con quali strumenti, compatibili con la finanza pubblica, il governo intende sostenere i cittadini in questo impegno, il ministro Fratin risponde: “Strumenti fiscali per i contribuenti che hanno redditi elevati, quindi una detrazione con aliquota da definire. Per chi ha redditi bassi occorre un altro sistema. Anche un contributo diretto dello Stato. Per gli edifici pubblici si possono coinvolgere le Esco, società che finanziano gli interventi e per un po’ si tengono il risparmio energetico, e usare il Conto termico del Gestore dei servizi energetici (Gse)”.
Un’altra proposta la lancia Giorgio Spaziani Testa, presidente di Confedilizia, in un’intervista a Gianluca Baldini per il quotidiano La Verità. La sua organizzazione è “radicalmente contraria” alla direttiva sulle case green e perciò auspica che il governo offra incentivi per promuovere, senza imporre, opere di efficientamento energetico. Quindi senza alcun obbligo per i cittadini. E conclude: “Le direttive non sono la Bibbia. Sono dei provvedimenti soggetti a revisione e rivalutazione nei tempi successivi alla loro approvazione”.