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STOP PLASTICA IN MARE LA CAMPAGNA TV DI SKY

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Si chiama “Waste Shark”, lo sualo mangia-rifiuti che può “ingoiare” anche bottiglie e buste di plastica, oltre al resto dell’immondizia, fra le barche ormeggiate nei porti. Ma non è un pescecane. Si tratta di un robot galleggiante che Sky Tg24 ha mostrato recentemente in televisione, mentre entrava in azione come “spazzino del mare”.

Nella sua lodevole campagna contro l’inquinamento prodotto dalla plastica, la pay tv satellitare si sta distinguendo per un impegno da autentico servizio pubblico. Questa, come sanno bene i naviganti e i bagnanti, è diventata ormai una vera piaga che deturpa l’ambiente nuocendo alla salute collettiva, ma anche alla flora e alla fauna. Un doppio danno, dunque, per l’equilibrio dell’ecosistema.

Mentre l’Unione europea dichiara guerra alla plastica monouso, annunciando lo stop entro il 2021 a tutti i prodotti “usa e getta”, Sky scende in campo all’insegna dello slogan “Un mare da salvare” (#UnMareDaSalvare). Già a maggio scorso l’emittente televisiva s’era mobilitata a fianco di Legambiente sulle coste italiane, per raccogliere i rifiuti e ripulire i nostri litorali. Da allora, trasmette quotidianamente uno spot particolarmente efficace, in cui un genitore si accinge a fare il bagno al suo bambino in una vasca colma di oggetti di plastica, producendo nei telespettatori un effetto-choc di denuncia e di ripulsa.

Si calcola che ogni giorno nel Mediterraneo vengono scaricate mediamente più di 700 tonnellate di rifiuti. Di questo passo, nel 2050 troveremo in mare più plastica che pesci. E purtroppo, non solo in superficie, ma anche in profondità. Basta pensare al fatto che la superificie della Terra è ricoperta per oltre il 70% da oceani di acqua salata, per valutare il disastro ambientale che incombe sull’intero pianeta.

BORGHI D’ITALIA UN TESORO NASCOSTO

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Con la legge approvata quasi all’unanimità dal Senato dopo ben tre legislature, l’Italia riscopre finalmente un tesoro nascosto: quello dei borghi disseminati nel Belpaese e spesso abbandonati dagli abitanti per mancanza di lavoro o di altre opportunità. Il provvedimento, di cui è primo firmatario Ermete Realacci, presidente della commissione Ambiente di Montecitorio, prevede stanziamenti per il recupero, la tutela e la valorizzazione di questo patrimonio storico e artistico che custodisce la nostra identità nazionale.

Per il 2017, il fondo iniziale sarà di dieci milioni di euro. Ma i finanziamenti verranno poi incrementati con 15 milioni di euro ogni anno dal 2018 al 2023, arrivando così a un ammontare complessivo di cento milioni. Serviranno a riqualificare i centri storici, a promuovere i prodotti locali e i poli multifunzionali per fornire servizi energetici, postali e scolastici, facendo leva innanzitutto sull’estensione della banda larga che consentirà collegamenti più veloci e potenti via Internet.

Sono 5.591 i “piccoli Comuni”, al di sotto dei cinquemila abitanti, che rappresentano il 69,9% dei Comuni italiani. Occupano il 54% del territorio nazionale, con un totale di 11 milioni di residenti, pari al 16,59% della popolazione complessiva (-20% in meno rispetto al 1971). Il più piccolo è quello di Moncenisio, in provincia di Torino, con appena trenta abitanti. Questi borghi possono essere una risorsa importante anche per il turismo alternativo, in cerca di ambienti e atmosfere più rilassanti rispetto alle grandi città afflitte dal traffico e dall’inquinamento.

Non è mancato neppure in questa occasione chi ha voluto fare polemiche, come il vicepresidente dell’Anci (l’Associazione dei comuni italiani), Francesco Baldelli, sindaco di Pergola (provincia di Pesaro e Urbino): “Ai piccoli Comuni, solo pochi spiccioli”, ha sentenziato, calcolando che i cento milioni divisi per il numero totale dei borghi corrispondono a 2.500 euro ciascuno. “Questa legge – ribatte Realacci – sarebbe utile e importante anche se stanziasse zero euro: i fondi potranno essere sempre incrementati e quelli disponibili saranno ripartiti a cominciare dai Comuni più disastrati. In ogni caso, i finanziamenti serviranno a innescare un processo di recupero per fermare e possibilmente invertire il trend dello spopolamento e dell’abbandono”.

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I DUE MICHELANGELO DAVANTI AL MOSÈ

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Michelangelo Buonarrotti visto e interpretato da Michelangelo Antonioni. Un grande scultore e un grande regista. Un genio dell’arte universale e un Maestro del cinema internazionale. L’incontro s’è ripetuto nella suggestiva atmosfera della Basilica di San Pietro in Vincoli, a Roma, per la proiezione del film di Antonioni “Lo sguardo di Michelangelo”, girato nel 2004 e restaurato ora da Luce Cinecittà e Lottomatica. Ed è stato, davanti al monumentale complesso del Mosè, un evento davvero emozionante.

In questo cortometraggio di 17 minuti da lui stesso firmato, Antonioni si fa riprendere mentre entra nella Basilica e visita con occhio appassionato l’opera più famosa di Buonarroti. A passi lenti e assorti, il regista si avvicina alla grande parete su cui campeggia la statua di Mosè, sfiora con le mani la figura di marmo bianco e ne tasta la trasparenza e l’intensità. La macchina da presa si sofferma più volte sullo sguardo del gigante biblico, come per catturare il battito di ciglia e il respiro. Solo immagini, accompagnate da suoni di fondo, senza parole. Un “racconto” vibrante che incanta magicamente lo spettatore.

Buonarroti rischiò ai suoi tempi di essere arrestato per aver fatto abbattere il muro al posto del quale ha scolpito il complesso artistico del Mosè con la tomba di Papa Giulio II della Rovere. Alle spalle di quella parete, Michelangelo volle ricavare una Cantoria che è tornata a ospitare per l’occasione, dopo quattrocento anni, un coro d’eccezione come l’ensemble vocale dell’Accademia di Santa Cecilia, formata da giovani fra i 15 e 21 anni. E attraverso la grande arcata che domina il monumento e le tre finestrelle sotto la volta, il pubblico ha potuto apprezzare la straordinaria acustica di questo ambiente con una prodigiosa sonorità che piove dall’alto.

Alla presenza del ministro dei Beni culturali e del Turismo, Dario Franceschini, l’incontro tra i due Michelangelo s’è rinnovato così a dieci anni dalla morte del regista ferrarese. Ma non è stata una commemorazione. Piuttosto una celebrazione di quella genialità italica che nell’arco dei secoli, da Buonarroti ad Antonioni, è riuscita a trasmettersi dalla scultura al cinema e alle altre arti per tramandare la “Grande Bellezza” del nostro Paese.

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Progetto Certosa contributo di “Aboca”

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Con un contributo liberale di “Aboca”, l’azienda di prodotti naturali per la salute, prende quota il progetto presentato dagli Amici della Certosa di Trisulti al FAI (Fondo Ambiente italiano) per la valorizzazione dell’antico monastero di Collepardo, in provincia di Frosinone, con la sua storica Farmacia del XVIII secolo. Per poter accedere ai fondi messi a disposizione dall’iniziativa “I luoghi del cuore”, nella cui graduatoria la Certosa s’è classificata al 32° posto in tutt’Italia e al secondo nel Lazio, era necessario garantire un co-finanziamento a fondo perduto. E il mecenatismo di Valentino Mercati, fondatore e presidente di “Aboca”, ha consentito adesso di raggiungere questo primo risultato, in attesa che il FAI scelga a ottobre i progetti vincitori.

L’obiettivo degli Amici della Certosa, e delle altre associazioni locali che hanno collaborato alla stesura del progetto (Naturnauti, Lega Ernica, Cavalieri di Montagna e Slow Food Lazio), è quello di avviare un programma di valorizzazione storico-artistica, naturalistica e turistica della splendida certosa di Trisulti e della sua raffinata Farmacia impreziosita da pitture del Settecento. Una perla del nostro patrimonio culturale, la cui importanza è stata sottolineata recentemente anche dal presidente della Regione Lazio, Nicola Zingaretti: in seguito a un sopralluogo, Zingaretti ha promesso, insieme al presidente di Unindustria Frosinone Maurizio Stirpe, uno stanziamento regionale di 300.000 euro. Questi fondi verranno impiegati per il restauro degli affreschi della volta nella chiesa monasteriale e per il consolidamento di alcune coperture gravemente danneggiate dall’umidità.

Il progetto promozionale presentato dalle associazioni che da oltre un anno lavorano appassionatamente  e gratuitamente per la Certosa, punta a essere il preludio di un’azione duratura nel tempo. L’intento è quello di gettare le basi per costituire intorno al monastero un network che colleghi il territorio circostante, e magari l’intera Ciociaria, in difesa di un patrimonio culturale e ambientale che – se pienamente valorizzato – potrebbe rappresentare una valida risposta alla crisi economica, offrendo concrete possibilità di lavoro in loco.

La cifra richiesta al Fai per la realizzazione dell’iniziativa “Trisulti nel Cuore” ammonta complessivamente a 8.000 euro. Verrebbe impiegata per la creazione di un sito Internet, attraverso cui diffondere la conoscenza del monastero sul territorio nazionale; di una App per dispositivi mobili da utilizzare durante la visita e per l’installazione di pannelli didattici per il pubblico meno avvezzo alle tecnologie. Azioni, quindi, pensate e studiate nell’assoluto rispetto del luogo, della sua storia secolare e della sua fortissima vocazione spirituale.

All’appello degli Amici della Certosa, “Aboca” ha risposto positivamente mettendo a disposizione un co-finanziamento di 3.000 euro, ovvero più di un terzo della cifra totale richiesta al Fai. È importante ricordare come il monastero di Trisulti sia un bene di proprietà dello Stato Italiano, per cui nessuna contropartita commerciale è stata assicurata, promessa o garantita all’azienda di Sansepolcro (Arezzo) che ha deciso di contribuire all’iniziativa, partecipando con un ruolo esclusivamente da mecenate.

Ora, non resta che aspettare la decisione finale del Fai, nella speranza che “Trisulti nel Cuore” non resti soltanto un progetto sulla carta. Questa può diventare per la Certosa un’opportunità per uscire finalmente dal cono d’ombra in cui era caduta negli ultimi anni, a causa dell’indifferenza generale.

Valeria Danesi

ALLEGATI (CLICK PER VISUALIZZARE):

1. PROGETTO CERTOSA DI TRISULTI

 

 

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DUE “GIOIELLI” IN CONCORSO

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Il futuro del magnifico Forte Antenne, incastonato tra i Parioli e il quartiere Salario della Capitale, è legato a quello del Casino Nobile di Villa Leopardi, un altro bene pubblico abbandonato da decenni. Per entrambi, il II° Municipio di Roma ha deciso di sperimentare un percorso di partecipazione civica. Si tratta in sostanza di un concorso di idee aperto ai cittadini dal quale dovrebbe uscire la proposta di utilizzo dei due immobili.

Un progetto interessante perché nuovo e mai sperimentato a Roma, ma probabilmente utopistico. E’ difficile, infatti, che le idee siano accompagnate da un finanziamento e il rischio è che tutto resti nel libro dei sogni. Si tratta di due beni di grande valore sia storico sia economico per i quali il difficile non è tanto individuare la destinazione, quanto trovare le risorse.

Oltre alla storia di Forte Antenne che “Amatesponde” ha già raccontato lo scorso aprile, è interessante accennare quella del Casino Nobile di Villa Leopardi, sulla via Nomentana. Espropriato alla famiglia Leopardi Dittajuti nel 1975, fu trasformato prima in sede della Circoscrizione e poi del locale comando dei Vigili Urbani. Dalla fine degli anni ’90 è in completo stato di abbandono: occupato più volte da nomadi e senza tetto, è stato sgomberato l’ultima volta il 20 aprile scorso. Nella nostra photogallery, si può vedere la grande quantità di materiale che è stata trovata all’interno e che gli uomini dell’Ama dovranno adesso smaltire.

L’amministrazione Veltroni, nel 2006, decise di assegnarlo a una fondazione benefica, la Scheerson, che avrebbe dovuto realizzare un asilo nido. La Fondazione fa capo alla Comunità Ebraica romana, ma tra i vertici della Scheerson e il presidente della Comunità sorsero dissidi sulla gestione del villino. Al termine di una battaglia giudiziaria, gli assegnatari decisero di rinunciare e il bene rimase così nella disponibilità del Campidoglio.

Il Dipartimento Patrimonio di Roma Capitale è proprietario di un’enorme massa di immobili e la sua gestione lascia molto a desiderare. È per questo che il II° Municipio ha chiesto l’assegnazione di due tra i beni più pregiati sul proprio territorio: Forte Antenne e Casino Nobile di Villa Leopardi. Ma, una volta ottenuta l’assegnazione, si è trovato di fronte al dilemma del loro uso e della loro valorizzazione. “Abbiamo deciso di chiedere suggerimenti ai cittadini – spiega Lucrezia Colmayer, assessore Municipale alla partecipazione – e a gennaio abbiamo pubblicato un bando con il quale chiunque poteva manifestare il proprio interesse e consigliarci”. Sono arrivate diverse proposte, ma non sono state ancora vagliate dagli uffici. L’obiettivo del Municipio è avviare una serie di incontri pubblici entro il mese di giugno durante i quali si potranno esaminare i singoli suggerimenti pervenuti. Poi, entro dicembre, dovrà essere redatto un documento della partecipazione che in sostanza scelga il progetto migliore. Un iter molto democratico e inclusivo sebbene lungo e forse poco concreto.

Nel frattempo Forte Antenne e il Casino Nobile cadono a pezzi. “Hanno bisogno di immediati interventi di consolidamento – conferma l’assessore Colmayer – ecco perché abbiamo chiesto al Campidoglio di inserirli nel decreto Art Bonus”. Si tratta, insomma, di trovare mecenati che sponsorizzino alcuni lavori di restauro grazie al recupero fiscale del 65% dell’importo donato. Una parziale apertura di Forte Antenne, per esempio, al momento sarebbe impossibile a causa della presenza di alcuni manufatti in amianto. La bonifica è costosa e le istituzioni sperano in un intervento privato.

Entrambi i beni sono vincolati dalla Sovrintendenza ai Beni Architettonici, per cui la loro destinazione deve essere compatibile con il vincolo. Eppure, per 30 anni Forte Antenne ha ospitato un campeggio che non si può configurare come attività consona a un vincolo. I tempi sono cambiati e adesso c’è più attenzione per la tutela dei beni culturali, ma l’abbandono non è mai la ricetta giusta. Vedremo se il percorso partecipativo ideato dal Municipio riuscirà a produrre un’idea concreta e un finanziamento reale.

Filippo Guardascione

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RIFIUTI in STRADA INCIVILTÀ DIFFUSA

Riprendo la segnalazione del signor Gianni Gabbi, da voi pubblicata sotto il titolo “Rifiuti, inciviltà indifferenziata”, per ribadire il concetto che – a parte la maggiore o minore efficienza delle amministrazioni pubbliche – la pulizia delle nostre città dipende innanzitutto dai nostri comportamenti individuali e dalle nostre buone o cattive abitudini. Perfino nei quartieri centrali di Roma, quelli abitati generalmente dalle cosiddette “persone perbene”, non è raro vedere scene come quelle documentate dalle foto che allego: rifiuti di ogni genere sparsi per terra, fuori dai cassonetti, disseminati sui marciapiedi. È una testimonianza d’inciviltà a cui, purtroppo, si assiste ogni giorno.

La verità è che a Roma la raccolta indifferenziata non si fa o quantomeno non si fa seriamente. Sì, ci sono i cassonetti di diverso colore per i rifiuti organici, la carta, il vetro e l’alluminio. Ma poi i camion della nettezza urbana raccolgono tutto insieme e chissà dove va a finire questa valanga quotidiana di spazzatura. O meglio, si sa pure: nelle discariche a cielo aperto, come quella di Malagrotta, dove confluiscono rifiuti d’ogni genere.

Non sarebbe meglio, allora, adottare gli inceneritori o – come vengono chiamati – i “termovalorizzatori”? So che al Nord, per esempio a Brescia, questi impianti funzionano bene e anzi forniscono ai cittadini anche energia o acqua calda. In attesa però di risolvere il problema, ciascuno di noi può contribuire intanto alla pulizia e al decoro urbano, evitando di seminare i rifiuti per strada.

Annamaria Pozzi, Roma

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UN FORTE IN ROVINA NEL CUORE DI ROMA

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Ci sono città in Europa che farebbero di tutto per avere al loro interno una vera foresta urbana. Pensiamo ad Atene o alla stessa Parigi che posseggono un indice di verde per abitante molto inferiore alla media contiunentale. E ci sono città, come Roma, dove un patrimonio ambientale unico viene lasciato andare in malora. Incastonato tra i Parioli e il quartiere Salario, il parco di Monte Antenne è un “unicum” sia per la sua biodiversità sia per la sua storia.

Da qui provengono gran parte delle donne del leggendario ratto organizzato da Romolo. Gli “antemnati” abitavano il piccolo monte ben prima della nascita di Roma. Ante Amnes stava a significare “davanti ai fiumi”, dove appunto il Tevere e l’Aniene si congiungono. Nel 749 a. C. il primo re di Roma allestisce una grande festa e chiama tutte le popolazioni dal circondario. Gli “antemnati” e i sabini partecipano numerosi, ma si accorgeranno troppo tardi che la festa era una trappola ordita da Romolo per rapire le donne necessarie alla crescita della nuova città. Quello che passerà alla storia come il ratto delle Sabine, dovrebbe essere ribattezzato perciò “il ratto delle Sabine e delle Antemnate”.

I resti di questo popolo furono ritrovati nella seconda metà dell’800 quando il Regno d’Italia decise di costruire sulla sommità del parco, a circa 60 metri d’altezza, uno dei 14 forti di difesa della città di Roma. Durante gli scavi emersero reperti straordinari: pozzi, cisterne, ville e perfino la tomba di un bambino. La scarsa coscienza archeologica dell’epoca e la necessità di concludere in fretta un’opera imponente, cancellarono per sempre il ricordo di questa civiltà. Nacque però una maestosa costruzione di guerra, chiamata Forte Antenne, composta da una grande piazza d’Armi, 160 stanze, magazzini e corridoi. Ma, appena pochi anni dopo, l’avvento dell’aviazione e le nuove tecnologie belliche resero inutile il Forte che venne abbandonato. Nel periodo della seconda guerra mondiale, qui fu ospitato il Reggimento dei radiotelegrafisti; poi nel 1958 il Demanio militare cedette l’edificio al Comune di Roma che ci costruì il primo grande campeggio della città. Ospiterà i visitatori delle Olimpiadi del 1960 e poi rimarrà in funzione fino al 1980. Da allora, sia il Forte sia la zona sono precipitati nell’abbandono.

Negli ultimi 40 anni, il Forte è stato più volte occupato e sgomberato. Prima un campo nomadi, poi alcuni senza tetto che avevano vi avevano installato perfino cucine a gas.

Oggi l’area è immersa in un degrado senza precedenti. La splendida pineta, trascurata per anni, ha sofferto il peso della neve dello scorso febbraio e il Campidoglio ha proceduto a tagliare tantissimi alberi, lasciando sul posto le chiome essiccate. La strada che sale sul monte è costellata di buche e dossi. E il Forte è sbarrato con gli intonaci divorati dalla vegetazione spontanea e il ponte levatoio corroso dalla ruggine.

Le potenzialità di questo posto magico sono infinite. Un resort con magnifici affacci sulla città, oppure un ostello della gioventù o anche un luogo per l’aggregazione e la produzione di cultura. Basta immaginare quanto possa essere suggestiva una mostra allestita in un bosco urbano, all’interno di antiche mura.

Nel corso degli anni, progetti e idee sono rimasti sempre sulla carta: l’Università Luiss avanzò l’ipotesi di farne la propria sede; il Quirinale avrebbe voluto installare qui il quartier generale dei Corazzieri; la Asl aveva proposto un centro per la cura dei malati di Alzheimer. Il costo per il recupero, non solo del Forte ma del parco circostante, è molto elevato e le condizioni generali di Roma fanno fuggire qualsiasi investitore assennato.

Da pochi mesi, il Municipio Roma 2 ha ottenuto dal Campidoglio la gestione dell’edificio. Lo scorso 18 dicembre ha pubblicato un avviso per invitare i soggetti interessati a presentare progetti per il recupero. Entro la fine di giugno le idee pervenute verranno elaborate e a quel punto il Municipio potrebbe assegnare il Forte a uno o più vincitori di un bando pubblico. Ma le probabilità che tutto questo si realizzi sono scarse e l’area sembra condannata a restare incastrata nel tempo.

Filippo Guardascione

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VAL D’AGRI, ENI ALL’ASSALTO

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Mentre Matera si prepara a diventare Capitale europea della Cultura nel 2019, e tutta la Basilicata beneficia del boom turistico alimentato dall’attesa di questo evento internazionale, l’Eni dà l’assalto alla Val d’Agri con le sue trivelle petrolifere. A danno dell’ambiente e a rischio della salute della popolazione. Sembra quasi di assistere alla replica dell’operazione analoga che qualche anno fa mise in subbuglio il Val di Noto, scrigno del barocco siciliano.

Compresa fra i monti Sirino e Volturino, in provincia di Potenza, la Val d’Agri è una sub regione lucana che prende nome dal fiume Agri e ha una superficie di 1.405 chilometri quadrati. I primi giacimenti petroliferi in quest’area, considerata il giacimento su terraferma più grande d’Europa, furono scoperti già nella prima metà del Novecento. Ma lo sfruttamento è iniziato solo negli Anni Ottanta e oggi fornisce circa il 10% del fabbisogno nazionale.

Da tempo, però, la popolazione è insorta contro l’Eni (originariamente acronimo di Ente nazionale idrocarburi) in difesa dell’ambiente e della salute. Tant’è che ora il Gruppo petrolifero pubblico, fondato dallo Stato nel 1953 sotto la presidenza di Enrico Mattei, ha deciso di promuovere una controffensiva anche sul piano mediatico finanziando il mensile Orizzonti, idee dalla Val d’Agri, commissionato a Mario Sechi, già direttore del quotidiano romano Il Tempo. L’obiettivo è quello di informare l’opinione pubblica locale per convincerla che l’attività di estrazione non sporca e non inquina.

Fatto sta che il petrolio è notoriamente un combustile fossile nocivo e peraltro in via di esaurimento. Questa è l’era delle energie alternative, rinnovabili, “pulite”, come il sole e il vento. E ormai perfino la produzione automobilistica si va orientando sempre più verso i veicoli ibridi o elettrici. L’operazione dell’Eni, insomma, va contro la storia oltreché contro il turismo e lo sviluppo sostenibile.

Nella vicenda, non manca neppure un “giallo”. E in questo caso non riguarda i colori della bandiera con il cane a sei zampe della compagnia petrolifera. Nei mesi scorsi, il giornale di Bari La Gazzetta del Mezzogiorno, che pubblica anche due edizioni quotidiane di Potenza e Matera, ha dato notizia del ritrovamento di un memoriale autografo di Gianluca Graffa, ingegnere ed ex responsabile del Centro oli di Viggiano (PZ), morto suicida nell’agosto 2013 in circostanze misteriose. “Mi è stato imposto di tacere”, ha lasciato scritto fra l’altro il tecnico, descrivendo problemi tecnici nei processi di trattamento del petrolio estratto in Val d’Agri che sarebbero stati scoperti da un’inchiesta della magistratura, approdata nel 2016 ad arresti e sequestri d’impianti.

Interpellata dall’agenzia Ansa, la direzione dell’Eni ha parlato di «vicenda drammatica» e di «episodio molto triste». E in merito ai presunti “problemi tecnici” citati nel memoriale, l’Ente ha replicato: “Nel Centro oli sono sempre stati effettuati i necessari controlli e le verifiche ispettive già prima del 2012. Tutti gli interventi, non solo quelli sui serbatoi, sono stati gestiti sulla base delle evidenze tecniche e operative emerse nel corso degli anni. La documentazione degli interventi è stata da tempo presentata a tutti gli organi interessati, con i quali Eni collabora come sempre in maniera piena. Eni ha sempre condotto le proprie attività alla luce del sole, operando con totale trasparenza, e condividendo tutte le informazioni sulle attività, regolarmente autorizzate, in Val d’Agri”.

Antonio Sacco

ASSALTO A VILLA BORGHESE

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Già invasa da bici, tricicli e risciò; macchinette e bighe elettriche; pattini e monopattini, Villa Borghese rischia ora un assalto a cavallo in grande stile. Non si tratta più soltanto della parata storica dei Carabinieri né del concorso ippico che ogni anno si svolgono nella spettacolare cornice di Piazza di Siena. Bensì di un programma quadriennale che la Federazione italiana sport equestri, con la complicità del Coni presieduto da Giovanni Malagò, intende realizzare all’interno del parco pubblico più grande di Roma per ospitare gare e manifestazioni ippiche minori. Sarebbe un’occupazione permanente della Villa che lo Stato acquistò nel 1901 dai principi Borghese per donarla al Comune della Capitale, ma che in realtà appartiene a tutti gli italiani e non solo ai cittadini romani.

L’annuncio ha già suscitato la reazione di cento intellettuali che hanno firmato un manifesto contro un progetto che contrasta con il principio, sancito nella Carta di Firenze, secondo cui un giardino storico ha il valore di monumento. E in quanto tale, dunque, non può essere sottoposto a utilizzazioni estranee alla sua natura e alla sua destinazione originaria. Luogo di passeggiate, meditazione e libertà, Villa Borghese deve rimanere un “polmone verde” nel cuore di una città assediata dal traffico e dallo smog. L’organizzazione di un programma di eventi, a carattere sportivo e purtroppo anche commerciale, minaccerebbe la salvaguardia del verde e quindi la sua stessa sopravvivenza.

Fino a prova contraria i concorsi ippici sono, a tutti gli effetti, manifestazioni agonistiche, organizzate non a caso da una Federazione che fa parte del Comitato olimpico nazionale. Una volta all’anno si può anche tollerare che il tradizionale concorso ippico si svolga a Piazza di Siena. Ma già in quell’occasione una buona parte di Villa Borghese viene occupata da camion e furgoni per il trasporto dei cavalli, oltre che da auto di servizio, chioschi per la vendita di bibite e panini, transenne, strutture temporanee per tribune, biglietterie e quant’altro. E allora, sarebbe senz’altro più opportuno ospitare questi eventi all’interno di impianti sportivi, come s’è già fatto peraltro per il concorso ippico sponsorizzato da Longines che s’è svolto allo Stadio dei Marmi.

Lo Sport, quello con la S maiuscola, è un alleato naturale del verde e della salute. Ma con l’assalto a Villa Borghese il Coni rischia di tradire il suo ruolo e la sua funzione istituzionale. I cittadini della Capitale non possono essere espropriati di quel “polmone” che ancora la protegge dal traffico e dall’inquinamento.

OPERE BUONE PER MATERA

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Mancano ormai pochi mesi all’investitura di Matera a Capitale europea della Cultura 2019 e purtroppo la Basilicata registra ancora un record negativo di opere pubbliche incompiute, con 33 cantieri in cui i lavori non finiscono mai. È pur vero che a dicembre 2017 risultavano tre in meno rispetto all’anno precedente. Ma, come scrive Piero Miolla sulla “Gazzetta del Mezzogiorno”, mancano i fondi per completarle oppure cause tecniche ne impediscono l’esecuzione definitiva.

Neppure la prestigiosa assegnazione di Capitale della Cultura, dunque, è bastata ad accelerare questi lavori infiniti. Eppure, in virtù del suo paesaggio e dello straordinario complesso dei Sassi, la città Matera è già diventata una méta privilegiata del turismo italiano e internazionale. E la Basilicata è, per di più, la prima regione dell’Italia meridionale a conquistare questo titolo.

Il dato sui ritardi dei lavori pubblici in corso è stato fornito dalla sezione regionale dell’Osservatorio dei Contratti Pubblici, Dipartimento Infrastrutture e Mobilità della Regione Basilicata, che ha trasmesso al ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti l’elenco delle opere riferite all’anno 2017, per la pubblicazione sul portale nazionale Simoi (Sistema informativo monitoraggio opere incompiute). Per dieci di queste 33, in Basilicata si registra una percentuale di lavori eseguiti superiore al 50%, ma per più d’una i lavori non sono stati ancora avviati.

Allo zero per cento risultano lo stato di avanzamento dell’intervento di messa in sicurezza del raccordo ferroviario a servizio della Siderpotenza nell’area industriale di Potenza e i lavori per l’adeguamento sismico e la ristrutturazione della scuola di Grassano, nel Parco letterario intitolato a Primo Levi. Al 93,72%, invece, risultano eseguite le opere di ripristino e adeguamento funzionale della diga di Abate Alonia sul Torrente Rendina.

A Vaglio di Basilicata, l’incompiuta risulta essere l’Antiquarium: opera realizzata appena per il 10,19 per cento. A Spinoso,  lavori di una piazzetta parcheggio in corso Garibaldi sono quasi terminati (avanzamento al 93,74 per cento), per una spesa di 118.785 euro, ma l’opera non è ancora fruibile. È di proprietà del Consorzio per lo Sviluppo Industriale della provincia di Potenza, invece, il cantiere per i lavori di completamento funzionale delle opere di depurazione e smaltimento acque reflue con ricircolo, collegamento area industriale alla grande viabilità, nell’area industriale di Senise: quasi 2 milioni e mezzo di euro per un’opera a uso ridimensionato. A Bernalda, non è ancora terminata la costruzione dell’impianto natatorio: oltre 600mila euro per un’opera i cuoi lavori di realizzazione risultano al 68,32 per cento, tanto da renderla non fruibile. A Carbone, invece, ancora non completata la scuola media, i cui lavori sono in uno stato di avanzamento pari al 21,16 per cento. A Lagonegro, infine, l’opera incompiuta è quella relativa alla ristrutturazione di Parco Giada, i cui lavori sono al 58,61 per cento.

“Come si può vedere, quindi, ce n’è per tutti i gusti – conclude l’autore dell’articolo sulla “Gazzetta” – ma c’è poco da stare allegri: di lentezza e inefficienza, infatti, si muore. Così come di burocrazia e di mancanza di fondi”. E l’investimento sulla Cultura, aggiungiamo noi, è quello che assicura nel tempo il ritorno maggiore. Un danno per la Basilicata e per tutto il Mezzogiorno.

Luca Grimaldi