Oltre due miliardi di euro per le aree alluvionate dell’Emilia-Romagna, con la sospensione dei versamenti di tasse e contributi: una sorta di tregua fiscale fino a fine agosto. Stop ai processi amministrativi e provvedimenti sul lavoro, oltre che il rifinanziamento del Fondo per le emergenze nazionali (di circa 200 milioni). Il Consiglio dei ministri ha varato le prime misure per gli aiuti alle popolazioni e ai territori colpiti dal maltempo che ha allegato le città e le campagne, fino al litorale romagnolo. Ma la conta dei danni continua e sarà necessario stanziare altri fondi, per risarcire gli abitanti e sostenere le imprese. L’Italia farà ricorso anche al fondo di solidarietà europeo e la presidente della Commissione, Ursula von der Leyen, dopo il sopralluogo nelle zone alluvionate, ha annunciato un contributo di sei miliardi. Prosegue, intanto, l’attività di migliaia di volontari che stanno ripulendo le case e le strade dal fango. Si attende la decisione sulla controversa nomina del Commissario straordinario, bloccata dal veto del ministro delle Infrastrutture, Matteo Salvini, contro il presidente della Regione, Stefano Bonaccini.
Una ventina di fiumi esondati, 23 Comuni allagati, 250 frane e 450 strade interrotte, oltre 15mila evacuati e ora un’altra vittima che porta a 15 il totale dei morti: è questo il bilancio aggiornato dell’alluvione-bis che ha colpito negli ultimi giorni l’Emilia-Romagna, dopo quella dei primi di maggio. Un altro “disastro annunciato”, purtroppo, nel cuore dell’Italia. Un altro “evento eccezionale” che ormai non può più essere considerato tale. Il presidente della Regione, Stefano Bonaccini, dichiara: “Danni per miliardi. Ma ricostruiremo tutto”. E chiede al governo di essere nominato Commissario straordinario.
“Mai un maggio così”, dicono i meteorologi: in due settimane ha piovuto come in sette mesi, 200 millimetri in 24 ore secondo il CNR. Ma già si annuncia un’estate torrida. L’ondata di maltempo, intanto, ha spezzato in due l’autostrada Adriatica A 14, ora riaperta, devastando il litorale romagnolo da Riccione a Ravenna, proprio alla vigilia ormai della stagione estiva che dovrebbe richiamare l’afflusso dei turisti. Allagato anche l’autodromo di Imola e annullato il Gran Premio di Formula 1, in programma per il prossimo weekend: la Ferrari, intanto, ha disposto una donazione di un milione di euro. Con un contributo di cinque milioni a fondo perduto, Intesa Sanpaolo ha aperto una raccolta fondi a favore delle popolazioni colpite dall’alluvione e ha innalzato a due miliardi di euro il plafond dei finanziamenti per il ripristino delle strutture danneggiate e per le spese di emergenza a condizioni agevolate.
Nel frattempo, dalle acque fangose che hanno sommerso l’Emilia-Romagna, emergono anche dati sconcertanti sulle opere e sulle infrastrutture che non sono state realizzate per contrastare il rischio idrogeologico. Su 11.204 progetti approvati, ne sono stati realizzati meno della metà: appena 4.800. E così sono rimasti inutilizzati otto miliardi di fondi già stanziati per mettere in sicurezza il territorio.
Questa, come riferisce Natascia Ronchetti sul Fatto Quotidiano, è “la quarta regione italiana a più alto consumo di suolo, oltre il 9%, con punte dell’11% nelle province di Modena e Reggio Emilia e 10% a Forlì-Cesena, la zona più colpita. E la tendenza negli ultimi anni è nettamente peggiorata: l’Emilia-Romagna – secondo i dati di Legambiente – è terza sia per incremento di suolo consumato nel periodo 2020-2021 (658 ettari) sia in totale di suolo consumato nel 2021 (oltre 200 mila ettari). Solo Lombardia e Veneto hanno fatto peggio”.
Clima, siccità, alluvioni, frane. In questa catastrofica spirale, il riscaldamento globale incide sulla fragilità della nostra Penisola, aggravando il suo cronico dissesto idrogeologico già compromesso dalla cementificazione selvaggia e dall’abusivismo edilizio. Sono stati 91 gli eventi estremi che hanno colpito il territorio italiano fra il 20 aprile e il 4 maggio, provocando bombe d’acqua e allagamenti che si sono abbattuti su terreni tanto secchi da diventare quasi impermeabili. E così, dall’Emilia Romagna alla Calabria, dalla Puglia alla Basilicata e alla Sicilia, “l’Italia va in frantumi” come s’intitola un ampio e documentato articolo di Anna Maria Capparelli pubblicato sul Quotidiano del Sud, diretto da Roberto Napoletano.
Nel suo primo “Atlante dei danni ambientali”, l’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale ha censito 620mila frane, il 28% delle quali è rappresentato da crolli e colate rapide di fango e detriti. Ogni anno sono circa un migliaio gli eventi atmosferici, compresi i terremoti, che provocano vittime, evacuazioni, danni a edifici, infrastrutture e beni culturali. Con il 75% del territorio montano e collinare, il nostro è un Paese vulnerabile. E non è un caso, dunque, che i due terzi delle frane registrate in Europa avvengono in Italia: 600mila su 900mila.
Agli effetti nefasti del cambiamento climatico, si aggiungono il consumo di suolo e la cementificazione selvaggia. Nel 2021, secondo lo stesso Ispra, le coperture artificiali hanno riguardato 69,1 chilometri quadrati al giorno, circa 19 ettari, circa 2,2 metri al secondo. Se la velocità di questo trend non rallenterà entro il 2050 – avvertono i tecnici dell’Istituto – il consumo potrebbe superare i 1.800 chilometri quadrati.
Uno studio della Coldiretti ricorda che oltre 9 Comuni su 10 hanno una parte del loro territorio in aree a rischio idrogeologico, vale a dire frane e alluvioni, anche per effetto del cambiamento climatico che tende a trasformare l’Italia in un Paese “tropicale”. A giudizio della stessa associazione, quindi, è urgente realizzare invasi e bacini di accumulo in grado di trattenere l’acqua a monte, in modo da evitare situazioni critiche com’è avvenuto recentemente in Emilia-Romagna, dove in un solo giorno è caduta una pioggia torrenziale che equivale a un quarto della media annuale. Anche la Coldiretti, comunque, mette sotto accusa l’asfalto e il cemento che dal 2012 hanno coperto i terreni sottraendoli all’agricoltura.
“Da oltre dieci anni – scrive l’autrice dell’articolo – giace in Parlamento una legge che puntava a fermare il consumo del suolo. Ma è rimasta sepolta tra le scartoffie parlamentari. Toccava troppi interessi e dunque nessun governo ha preso in mano la situazione”.
Con i fondi europei messi a disposizione dal Piano nazionale di ripresa e resilienza, i soldi da investire nei “laghetti” artificiali non mancherebbero. E neppure i progetti: “È da anni – dichiara allo stesso giornale Francesco Vincenzi, presidente dell’Anbi (Associazione nazionale dei Consorzi per la tutela del territorio e delle acque irrigue – che denunciamo l’inadeguatezza della rete idraulica del Paese ed è del 2018 il nostro Piano per l’efficientamento che prevedeva 858 progetti, quasi tutti definitivi ed esecutivi, capaci di garantire oltre 21.000 posti di lavoro, grazie a un investimento di circa 4 miliardi e 339 milioni di euro”.
Per contenere le piene alluvionali, dunque, è necessario realizzare al più presto i bacini di espansione intorno ai fiumi principali e agli altri corsi d’acqua, in modo da preservare il territorio dagli allagamenti. Non si tratta più di “calamità naturali” o di eventi eccezionali e imprevisti. Ormai sono assolutamente prevedibili, all’ordine del giorno. Il riscaldamento globale e i cambiamenti climatici, prodotti dall’inquinamento atmosferico, provocano la siccità e questa si può combattere appunto con le riserve idriche che poi servono anche a difendere il suolo dagli smottamenti e dalle frane.