È accertato ormai che il 2024 è stato l’anno più caldo della storia: o quantomeno, dal 1850 quando iniziarono le rilevazioni scientifiche sul clima. Lo attestano e lo documentano tutti i report ufficiali, a cominciare da Copernicus, il servizio meteo dell’Unione europea. E da questo punto di vista il 2025 non comincia, purtroppo, sotto un segno migliore (in alto, foto da “Green Me”).
Al di 10 di gennaio, si registra finora il 63% in meno di neve rispetto alla media 2011-2023. In pratica, la metà rispetto all’anno scorso. L’allarme è stato lanciato dal Sole 24 Ore, il quotidiano della Confindustria, con un articolo a firma di Davide Madeddu e Luca Salvioli. Ed è – per così dire – un doppio allarme: per la stagione turistica e sciistica invernale, ma anche per quella prossima estiva. La mancanza di neve minaccia mancanza di acqua e quindi, se la situazione non cambierà nelle prossime settimane, siccità nei periodi più caldi.
Già a dicembre l’andamento delle precipitazioni nevose sull’arco alpino era stato critico. Un po’ meglio è andata sugli Appennini, anche se a causa delle temperature più calde quella che è caduta è stata – come dicono gli esperti – una “neve effimera”: cioè, una neve che non si “posa” e non costituisce una base per future nevicate.
In valori assoluti, come scrivono gli autori dell’articolo, “le ‘scorte nivali’ presenti sul territorio italiano sono pari a un miliardo e 700mila metri cubi di neve, contro i 4,6 della media 2011-2023”. L’assenza di precipitazioni sta provocando l’assenza del manto nevoso, danneggiando l’industria dello sci e delle vacanze. E questo riduce la capacità delle Alpi come “serbatoio di acqua naturale”. Aggiungono i due giornalisti: “I dati storici dimostrano che un inverno povero di neve si traduce spesso in una ridotta portata dei fiumi nei mesi estivi, aumentando il rischio di siccità”.
La situazione migliore degli Appennini non lascia ben sperare. A dicembre la neve è stata abbondante, soprattutto in Emilia-Romagna, ma s’è sciolta rapidamente. E i gestori degli impianti sciistici sono corsi ai ripari “sparando” quella artificiale che, però, a sua volta consuma acqua da congelare.
Un segnale preoccupante viene dal bacino del Tevere. Nel giro di poche settimane, il livello dell’acqua è passato dalla media stagione a -88%. Un deficit che rischia di ripercuotersi in particolare sugli approvvigionamenti idrici del Lazio. A leggere i dati, insomma, “emerge che per molte regioni italiane l’inizio di questo inverno si colloca tra i peggiori per neve al suolo dal 2011”. E le stime stagionali di Ecmwf (l’European center for Medium-range Weather Forcasts) indicano un trimestre invernale più caldo della norma in tutta l’Europa, come sulle Alpi svizzere e francesi (sotto, foto da “Torino Today”).
Ha scritto il meteorologo Luca Mercalli sul Fatto Quotidiano: “Nei giorni intorno all’Epifania correnti umide e miti da Ponente hanno portato piogge a intervalli al Nord e su parte del versante tirrenico, anche copiose in Liguria, Appennino Tosco-Emiliano, Lombardia e Nord-Est (221 mm da domenica 5 a giovedì 9 gennaio sopra Sesta Godano, La Spezia; qualche frana nel Centro-Levante ligure), e sulle Alpi ha piovuto talora fino a 2000 metri. Dell’anomalia mite non si è accorto granché chi era nei grigiori della Pianura Padana – dove per diverse notti non ha gelato – ma altrove le temperature massime sono salite fino a 21 °C a Pescara martedì 7, e a 23 °C a Catania venerdì 10. Un cambiamento è in corso, brusco ma breve: venti freddi da Nord-Est portano molta pioggia al Sud e neve in Appennino, uno dei pochi ed effimeri sussulti di un inverno finora insignificante”.
L’annuncio di una nuova siccità, insomma, incombe sulla nostra Penisola. Se le precipitazioni naturali di pioggia e di neve non aumenteranno nelle prossime settimane, e le temperature non scenderanno, ai primi caldi la mancanza d’acqua si farà sentire da Nord a Sud. Per la popolazione, per l’agricoltura e per il bestiame.