EMERGENZA CONTINUA MA NON E’ FATALITA’

EMERGENZA CONTINUA MA NON E’ FATALITA’

Il Nord-Ovest devastato dal maltempo. Otto morti e danni ingenti. In un solo giorno, la pioggia è caduta come in sei mesi. Esondano i fiumi, il Po sale di tre metri. Decine di ponti crollati (nella foto, il fiume Sesia). I governatori del Piemonte e della Liguria, Cirio e Toti, chiedono lo stato di calamità. E il Gruppo Intesa Sanpaolo e UBI stanzia 200 milioni di euro per tutte le province colpite: il plafond è destinato a famiglie, imprese, piccoli artigiani, commercianti e agricoltori, per offrire loro un sostegno dedicato.

Il flagello di acqua e di fango che s’è abbattuto sulle regioni settentrionali è certamente un evento eccezionale, di portata straordinaria. Ma purtroppo non era né imprevedibile né imprevisto. Lo stato di calamità non è uno “stato di fatalità”.

L’emergenza continua che provoca alluvioni, crolli, frane, smottamenti, vittime e danni, colpisce ancora una volta un Paese fragile e vulnerabile come il nostro. All’origine c’è indubbiamente la crisi climatica, provocata e alimentata dalla mano dell’uomo, con l’effetto serra e il riscaldamento globale che minaccia l’intero pianeta. E c’è anche l’aggressione all’ambiente che, insieme all’incuria e alla mancanza di manutenzione, insidia il territorio italiano da un capo all’altro della Penisola.

Solo il 40% dei fiumi italiani risulta in un buono stato ecologico, come richiesto dalla Direttiva Quadro Acque. Ma “nonostante l’urgente necessità di riqualificarli si continua a danneggiarli”. Alla vigilia di quest’ultimo disastro, era stato il Wwf a denunciarlo in occasione della quindicesima edizione del “World rivers Day”, la Giornata mondiale dei fiumi, celebrata il 27 settembre per sensibilizzare l’opinione pubblica e favorire una migliore gestione dei corsi d’acqua in tutto il mondo.

Nel dossier “SOS fiumi. Manutenzione idraulica o gestione fluviale?”, Il Wwf Italia documenta il diffuso e indiscriminato attacco “legalizzato” ai nostri fiumi. Secondo l’organizzazione ambientalista, “continuano a essere autorizzati dalle Regioni interventi di taglio indiscriminato della vegetazione ripariale e/o di dragaggio degli alvei con la scusa di renderli più sicuri”. E si tratta di azioni in aperto contrasto con le direttive europee, ma anche con la recente “Strategia dell’UE sulla biodiversità per il 2030”, in cui si afferma che “occorre adoperarsi di più per ristabilire gli ecosistemi di acqua dolce e le funzioni naturali dei fiumi”.

“Negli ultimi cinquanta anni – si legge nel rapporto – in Italia la maggior parte dei fiumi è stata oggetto di un’aggressione da parte dell’uomo che ne ha modificato radicalmente assetti e dinamiche I corsi d’acqua sono stati considerati – e in molti casi trasformati – in canali, ignorando che si tratta di ecosistemi naturali regolati non solo dalle leggi dell’idraulica. La biodiversità di questi ambienti si è drasticamente ridotta e con essa la funzionalità ecologica che li caratterizza. E’ prevalso e prevale tuttora un approccio esclusivamente idraulico, retaggio di politiche ottocentesche rispetto la necessità di un’impostazione interdisciplinare che tenga in egual conto aspetti geomorfologici, idrologici, ecologici”.

Uno degli interventi raccomandati consiste nell’eliminare o adeguare le barriere che impediscono il passaggio dei pesci migratori e nel migliorare il flusso libero dei sedimenti: così si può ristabilire lo scorrimento libero di almeno 25.000 km di fiumi entro il 2030.

Questo, a futura memoria, l’elenco delle principali alluvioni registrate nel nostro Paese: Il Po nel 1951, Firenze nel 1966, la Valtellina nel 1987, il Po nel 1994, Crotone nel 1996, Sarno nel 1998, Soverato nel 2000 e ancora il Po nell’ottobre 2000, il Tevere nel 2008, Messina nel 2009, Liguria Toscana e Veneto nel 2010, la Liguria, la Lunigiana e Messina nel 2011, la Toscana nel 2012. E la storia, purtroppo, continua con la devastazione del Nord-Ovest, dal Piemonte alla Liguria, dalla Val d’Aosta fino all’Emilia Romagna.

 

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