LA MAFIA DEL FUOCO

LA MAFIA DEL FUOCO

L’Italia brucia, dalla Sardegna alla Sicilia, dalla Campania alla Puglia e all’Abruzzo, compresa la Pineta Dannunziana di Pescara, il Centro-Sud va a fuoco. E’ una vera emergenza nazionale. In questi ultimi giorni, le fiamme hanno percorso e devastato 13mila ettari di boschi. Sotto le ondate di calore e siccità più intense e prolungate rispetto al passato, spinte dalla crisi climatica causata dall’uomo con l’inquinamento atmosferico e l’effetto serra, i roghi divampano e divorano la vegetazione.

Ma, al di là del clima, in una regione come la Sicilia che annovera già 28mila forestali si diffonde il sospetto che ad appiccare i roghi sia soprattutto la mano della mafia, per “sgomberare i terreni agricoli e rivenderli a chi ci vuole costruire impianti fotovoltaici”, come ha dichiarato Claudio Fava della Commissione antimafia siciliana, in modo da accaparrarsi i finanziamenti europei che il Piano nazionale di ripresa e resilienza destina a questo scopo. E’ perciò che la Coldiretti, con la presidente della sua associazione giovanile Veronica Barbati rilancia la petizione contro i pannelli solari installati a terra e in difesa del suolo agricolo.

Fatto sta che, come ha scritto Carlo Cambi su La Verità, il Piano nazionale integrato energie e clima (Pniec), predisposto dal ministro della Transizione ecologica, Roberto Cingolani, prevede di incrementare in otto anni di 44mila megawatt l’energia da fotovoltaico: questo significa che servono 44mila ettari coperti da pannelli, in pratica 440 chilometri quadrati sottratti all’agricoltura. In Sicilia, riferisce l’autore dello stesso articolo, ai piccoli proprietari terrieri vengono offerti fino a 30mila euro a ettaro: “E chi non ci sta si brucia”.

Ma, intanto, come si può prevenire l’effetto dei cambiamenti climatici? Se lo chiede Marco Marchetti, dovente dell’Università degli Studi del Molise – Sisef (Sociatà italiana di Selvicoltura ed Ecologia Forestale), in un documentato articolo apparso su Avvenire, il quotidiano cattolico della Conferenza episcopale italiana, sotto il titolo Imparando a salvare i boschi impariamo a salvare noi stessi. E così risponde: “Quando si parla di prevenzione in genere si pensa a strategia di sorveglianza: pattuglie, punti di avvistamento, magari il supporto dei droni per cogliere sul fatto l’incendiario di turno o individuare il pericolo al primo filo di fumo”. Ma tutto ciò, pur essendo utile e opportuno, non basta. In primo luogo, perché non tutti gli incendi sono dolosi. E in secondo luogo, perché non è sufficiente avvistare un focolaio per neutralizzarne o limitarne la minaccia.

“Prevenzione vuol dire tante cose che devono essere integrate fra loro”, avverte l’autore dell’articolo. E lui stesso elenca: cura del territorio, selvicoltura preventiva, accessi sicuri per i mezzi di controllo e intervento, punti di sicurezza per le popolazioni, eliminazione delle situazioni di degrado. “Prevenzione – commenta Marchetti – è conoscenza dello stato e delle dinamiche meteo, geografiche e di uso del suolo, dislocazione efficiente dell’avvistamento e del supporto agli interventi”. È necessaria un’organizzazione articolata e complessa, insomma, per impedire che i roghi divampino ed evitare che ogni “distrazione” possa risultare “disastrosa”.

Con un’estensione complessiva di oltre 11,4 milioni di ettari, di cui 9,6 di foreste, i boschi coprono ormai il 40% del territorio nazionale, ma generalmente se ne parla quando sono diventati cenere. E spesso è troppo tardi, purtroppo, per intervenire e limitare i danni al minimo. Occorre, dunque, un’opera costante di educazione e formazione per fermare l’incuria e la criminalità organizzata. Qui, infatti, non si tratta di “piromani”, cioè di una condizione psicopatologica che spinge ad appiccare gli incendi, ma piuttosto di speculatori e delinquenti pronti a commettere reati contro l’ambiente, la sicurezza e l’incolumità dei cittadini. E ovviamente, aggiunge lo stesso Marchetti, “servono investimenti veri, ricerca, semplificazione di procedure e competenze, a vantaggio delle generazioni che verranno”.

La conclusione dell’esperto di Selvicoltura ed Ecologia forestale, interpellato da Avvenire, è che “ogni intervento di gestione responsabile e sostenibile richiede personale formato (di cui troppi territori scarseggiano) e una nuova pianificazione territoriale”. A suo avviso, “un buon inizio sarà l’approvazione della Strategia Forestale Nazionale nel quadro di quella europea resa pubblica il 16 luglio 2021, investendo finalmente risorse pubbliche nel monitoraggio e nella gestione, per mantenere una buona relazione con le foreste, aiutarle e aiutarci nel momento in cui ne abbiamo più bisogno”, proprio per combattere la diffusione dell’anidride carbonica e il riscaldamento globale del pianeta. I megafire, i grandi incendi che superano la capacità tecnica di estinzione, sono i nuovi pericolosi alleati dei cambiamenti climatici che minacciano la sopravvivenza della Terra e del genere umano.

 

 

 

 

 

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