IDROGENO, UNA SVOLTA O UN GRANDE AFFARE?

IDROGENO, UNA SVOLTA O UN GRANDE AFFARE?

Nell’orgia mediatica sulla tutela dell’ambiente, si diffonde sempre più il “falso ecologico”: tutto ormai diventa “green”, verde, sostenibile. Anche i materiali e i prodotti più in-sostenibili. E sul tema centrale delle fonti rinnovabili, alternative ai combustibili fossili e inquinanti come il petrolio, oltre all’eolico e al fotovoltaico cresce il mito dell’idrogeno.

Ma, a differenza di quello che comunemente si pensa, l’idrogeno non è una fonte energetica in senso stretto, bensì un mezzo per accumularla, un “carrier”, un portatore di energia che può essere prodotta in modo più o meno “pulito”. C’è quello buono e quello cattivo. L’idrogeno, infatti, non si trova in natura al contrario del petrolio, del gas o del carbone: per ricavarlo attraverso gli elettrolizzatori, bisogna staccarlo dalle molecole con cui è combinato, come nell’acqua e nel metano. E nel processo di produzione, si possono usare fonti diverse.

Su questo mercato, a cui il Recovery Plan destina 3,1 miliardi di euro, fa il punto in modo chiaro ed esemplare un recente articolo di Domenico Affinito e Milena Gabanelli, già autrice e conduttrice della trasmissione televisiva Report, che ora cura la rubrica “Dataroom” sul Corriere della Sera. “L’idrogeno ci salverà (ma serve tempo)”, annuncia il titolo. Nel testo, come si legge nello stesso sommario, gli autori avvertono che “quello pulito si produce solo con energia rinnovabile, l’industria petrolifera invece vuole utilizzare il metano”.

Nell’articolo sul Corriere, Affinito e Gabanelli spiegano che esiste l’idrogeno verde, ma anche quello grigio e blu. A ciascun colore, corrisponde un metodo diverso di produzione. Quello verde, il più ecologico, si ricava attraverso gli elettrolizzatori dall’acqua e da energia proveniente da fonti rinnovabili: e perciò, non produce CO₂ (vedi schema sotto). Al momento, rappresenta il 4% della produzione mondiale.

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Per l’idrogeno grigio e per quello blu, invece, la materia prima sono i combustibili fossili ed entrambi vengono prodotti utilizzando combustibili fossili. Nel primo caso, per ogni chilogrammo di idrogeno se ne generano 9 di anidride carbonica. Per l’idrogeno blu, la CO₂ viene catturata e stoccata nei giacimenti esausti delle grandi compagnie petrolifere: da qui, il loro forte interesse economico. “È quello che vorrebbe fare l’ENI – scrivono i due giornalisti – nel suo giacimento di metano esausto di fronte a Ravenna”. Insieme l’idrogeno grigio e quello blu coprono al momento il 96% del mercato.

L’idrogeno verde, dunque, è l’unico effettivamente pulito e sostenibile. Ma – come già detto – rappresenta soltanto il 4% della produzione mondiale e non c’è abbastanza energia rinnovabile per ricavarlo: dovremmo aumentarla 80 volte. Per di più, con la tecnologia attuale, non siamo in grado di farlo su scala industriale. E infine, in attesa che il costo degli elettrolizzatori si riduca secondo il trend del mercato, al momento l’idrogeno a zero emissioni costa molto più di quello grigio (dai 4 ai 6 euro a chilo contro 1,5 euro). Il verde, quindi, per ora è fuori mercato.

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In questo campo, tuttavia, l’Italia vanta grosse potenzialità. A cominciare dalla Sardegna, la regione più solare e ventosa, adatta a ospitare impianti per la produzione di energie rinnovabili, evitando che nel frattempo proceda la metanizzazione dell’isola per piazzare dovunque tubi del gas. Ma anche la Sicilia e la Puglia possono contribuire in misura determinante a questa riconversione. A patto, però, che “il potenziale passaggio all’idrogeno – come concludono Affinito e Gabanelli – non deve essere usato come giustificazione per costruire ora nuovi gasdotti, con la scusa che possono servire per il gas verde nel futuro”.

 

 

 

 

 

 

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