IL PONTE SULLO STRETTO, SI RIAPRE DOPO CINQUANT’ANNI IL DIBATTITO: I PRO E I CONTRO

IL PONTE SULLO STRETTO, SI RIAPRE DOPO CINQUANT’ANNI IL DIBATTITO: I PRO E I CONTRO

S’incrociano sulle pagine del Fatto Quotidiano, ancor prima che nelle aule parlamentari, le armi dei favorevoli e dei contrari all’annoso progetto sul Ponte sullo Stretto di Messina. Se ne discute ormai da più di mezzo secolo, da quando il 17 dicembre 1971 fu varata una legge per il “Collegamento viario e ferroviario fra la Sicilia e il Continente”. Fino al via libera del Consiglio superiore dei lavori pubblici nell’ottobre del ’97. E ora che il governo di destra e in particolare il vicepremier e ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti, Matteo Salvini, rilanciano quella che viene definita “l’ottava meraviglia del mondo”, sia riaccendono le polemiche fra i pro e i contro.

È stato per primo il giornalista Massimo Fini a dar fuoco alle polveri, con un articolo pubblicato sul giornale diretto da Marco Travaglio e intitolato senza troppi giri di parole “Il Ponte sullo Stretto è un progetto infame”. Con la vis polemica che lo contraddistingue, Fini aggiunge che si tratta di un’operazione “delirante e criminale”. E il primo motivo, a suo parere, è che i territori su cui dovrebbe poggiare sono sismici e quindi il ponte sarebbe ad alto rischio: ai tecnici che ne assicurano la sicurezza, il giornalista ricorda le 120 mila vittime del terremoto di Messina del 1908 (nella foto sotto): “Vedremo che cosa diranno quando sul terreno ci saranno altri centomila morti”.

TERREMOTO MEssina bis

Sullo stesso giornale, in un altro articolo a firma di Claudio Sabelli Fioretti, la replica: “In Giappone, dove convivono con terremoti molto più frequenti e intensi dei nostri, ci sono tantissimi ponti che collegano le varie isole e che sono molto più lunghi del Ponte sullo Stretto di Messina”. Lo stesso giornalista cita poi quello denominato Akasshi Kaikyo che misura quattro chilometri (nella foto sotto), il secondo al mondo dopo quello turco sul Bosforo chiamato Ponte dei Dardanelli.

PONTE Giappone

Ma la requisitoria di Fini non si ferma qui. “In seconda battuta – scrive – c’è la questione ambientale”. Cioè, il pericolo per le coste minacciate dal cemento e dal traffico. Poi aggiunge che “il ponte non serve né ai siciliani né ai calabresi perché per arrivare alla sua altezza ci vuole più tempo che per imbarcarsi sul traghetto”. Da ultimo, il giornalista non rinuncia a evocare come uno spettro il rischio che questa opera “sarebbe un colossale regalo a mafia e ‘ndrangheta”.

Su questo punto cruciale, Sabelli Fioretti che vive in Sicilia ribatte con ragionevolezza: “La mafia arricchisce anche adesso che il Ponte non c’è. Arricchisce con le costruzioni, per esempio. Ma nessuno si sogna di proporre il divieto di palazzina. Arricchisce sfruttando gli operai. Vietiamo alla gente di lavorare? Cerchiamo di combattere la mafia, ma senza affossare ciò che può essere di aiuto all’uomo”.

Per smontare la tesi di Fini, tra il serio e il faceto Sabelli Fioretti si rivolge direttamente al collega e conclude: “Massimo, io ti ho sempre seguito nei tuoi ragionamenti contro lo sviluppo sfrenato. Ma i ponti non me li devi toccare. I ponti sono un simbolo di comunicazione, di popoli che si incontrano, di civiltà che si contaminano. I ponti sono come la lingua, come la musica, come la scrittura. I ponti sono il passato, il presente e il futuro”.

PONTE SULLO STRETTO 1

A spegnere il fuoco delle polemiche tra i due litiganti, interviene infine Giovanni Valentini, già direttore del settimanale L’Europeo, dove tutti e tre hanno lavorato insieme, poi dell’Espresso ed ex vicedirettore di Repubblica, da sempre impegnato sul fronte ambientalista. Il suo articolo, intitolato “Il lungo Ponte della Discordia: discutiamone senza pregiudizi”, è un invito ad aprire un dibattito pubblico sulla base di dati certi e di pareri tecnici. Il giornalista ricorda di averne scritto a suo tempo su Repubblica nel 1998, suscitando le reazioni contrarie dei Verdi e della Cgil di Sergio Cofferati.

“Nella dialettica manichea che spesso alimenta il confronto nel nostro sventurato Paese, l’opinione pubblica si divise in Guelfi e Ghibellini, favorevoli e contrari, come due tifoserie sugli spalti di uno stadio di calcio”, racconta l’autore dell’articolo: “E infatti, la mia replica una decina di giorni dopo s’intitolava “Buoni e cattivi tra Scilla e Cariddi”: dove i nemici del Ponte erano i buoni e tutti gli altri i cattivi. Quella che veniva evocata come “l’ottava meraviglia del mondo” si arenò così nelle sabbie mobili della politica nazionale”.

Per quanto può valore l’opinione di un sito come il nostro, Amate Sponde raccoglie e rilancia l’appello al confronto. Si esamini e si discuta il progetto nel merito, senza pregiudizi. Lasciamo ai politici la libertà di attaccare o difendere il Ponte per partito preso. Altrimenti, come conclude l’articolo di Valentini, questo continuerà a essere il Ponte della Discordia. Oppure, aggiungiamo noi, il rischio maggiore è che venga costruito nel peggiore dei modi, cioè senza le necessarie garanzie di sicurezza sismica e ambientale.

 

 

 

 

 

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