In un anno, 70 chilometri quadrati di nuove coperture artificiali, oltre 2 metri quadrati al secondo, in media un consumo di 19 ettari al giorno. È l’impietosa fotografia del Malpaese scattata per il 2021 dall’ultimo Rapporto del Sistema nazionale per la Protezione dell’Ambiente di Ispra, l’Istituto superiore dello Stato preposto alla sorveglianza del territorio. Un valore mai raggiunto negli ultimi dieci anni, con una colata di cemento che ricopre ormai 21.500 chilometri quadrati della superficie nazionale.
Il 25% del suo consumato è costituito dagli edifici: un’area complessiva di 5.400 chilometri quadrati, pari a una regione come la Liguria. Oltre il 70% delle trasformazioni si concentra nelle città, interessando i suoli candidati alla rigenerazione. Si tratta di oltre 1.120 ettari in più in un anno, tra aree urbane propriamente dette (32%), aree suburbane produttive (40%) e aree rurali (28%).
Che cosa si può fare per fermare o almeno contenere questa valanga di cemento? Secondo il Rapporto di Ispra, si potrebbe intervenire innanzitutto sugli oltre 310 chilometri quadrati di edifici non utilizzati e degradati esistenti in Italia, una superficie pari all’estensione di due città come Milano e Napoli. La regione che dispone della maggior superficie di edifici in rapporto agli abitanti è il Veneto (147 metri quadrati per abitante); seguita da Friuli-Venezia Giulia, Emilia-Romagna e Piemonte, tutte con valori superiori ai 110 metri quadrati per abitante. I più bassi si registrano invece nel Lazio, in Liguria e Campania, rispettivamente con 55, 60 e 65 metri quadrati per abitante, a fronte di una media nazionale di 91 metri quadrati per abitante.
Negli ultimi quindici anni, tra il 2006 e il 2021, l’Italia ha perso così 1.153 chilometri quadrati di suolo naturale o semi-naturale: in media, 77 chilometri quadrati all’anno, con un danno economico stimato in quasi 8 miliardi di euro l’anno. La perdita, come si legge nel Rapporto Ispra, è avvenuta “a causa principalmente dell’espansione urbana e delle sue trasformazioni collaterali che, rendendo il suolo impermeabile, oltre all’aumento degli allagamenti e delle ondate di calore, provoca la perdita di aree verdi, di biodiversità e dei servizi eco-sistemici”.
Il suolo consumato pro capite è aumentato nel 2021 di 3,46 metri quadrati per abitante e di 5,46 rispetto al 2019. Dai circa 349 metri quadrati per abitante nel 2012, si passa perciò ai circa 363. La regione con il consumo inferiore è la Valle d’Aosta, mentre gli incrementi maggiori si sono registrati in Lombardia (+883 ettari), Veneto (+684 ettari), Emilia-Romagna (+658), Piemonte (+630) e Puglia (+499). Tra i Comuni, Roma conferma la tendenza dell’ultimo periodo e anche quest’anno consuma più suolo di tutte le altre città italiane: in 12 mesi la Capitale ha perso altri 95 ettari di suolo. Alle sue spalle, i capoluoghi di regione con gli aumenti maggiori sono Venezia (+24 ettari relativi alla terraferma), Milano (+19), Napoli (+18), Perugia (+13), e L’Aquila (+12).