Più che una recensione, è una stroncatura quella che – a firma di Pierluigi Panza – il Corriere della Sera ha dedicato al pamphlet di Tomaso Montanari, definito nell’articolo “storico dell’arte e critico militante”. Nel libro, intitolato “Privati del patrimonio” (Einaudi), l’autore lancia in sostanza un j’accuse contro quello che considera un attentato ai Beni culturali da parte dei privati, esponendo le sue tesi critiche.
“Non è accettabile – scrive fra l’altro Montanari – la mercificazione a ogni costo”. E ancora, se il fine della trasmissione del patrimonio storico e artistico è la conoscenza, “lo Stato non deve prestare qualsiasi opera pubblica a qualunque mostra”; “non deve riconoscere abnormi contropartite in cambio di sponsorizzazioni”; o “adattarsi a fare da maggiordomo in fondazioni di cui è il massimo contribuente” oppure “consentire a uno stilista di disporre di un ponte di Firenze come sala da pranzo”. Qui il riferimento polemico appare rivolto indirettamente a Matteo Renzi che, da sindaco della città toscana, concesse per una sera l’uso di Ponte Vecchio per una cena di gala della Ferrari in cambio di un “affitto” di 100mila euro, più un contributo di altri 20mila per il restauro di un monumento, provocando qualche protesta fra i commercianti e i turisti.
Per quanto possano risultare in larga parte anche condivisibili, “tutte queste considerazioni – replica Panza sul Corriere della Sera – definiscono il perimetro di un alto ideale che trova casa nel migliore dei mondi possibili”. Osserva poi realisticamente l’autore dell’articolo: “Ma un ministro dei Beni culturali e gli operatori di settore di un Paese che sta svendendo aziende, lavoro…possono davvero operare tenendo conto di tutte queste indicazioni?”. E risponde all’interrogativo: “È difficile; inoltre credo che nel settore della tutela dei Beni non sia più tempo per pensare teorie o sovrapporre ideologie, perché l’unica via è quella del pragmatismo nelle regole (da cambiare), è il primum vivere per salvare i moribondi mutilati di un teatro di guerra”.
Siamo completamente d’accordo con l’articolista del Corriere. In un Paese con un debito pubblico di oltre duemila miliardi, e nel pieno di una crisi economica come quella che attraversiamo, continuare a sostenere che la tutela e la gestione dei Beni culturali debbano essere esercitate esclusivamente dallo Stato, “diventa una predicazione sotto le bombe”. Tesi di questo genere appartengono alla sfera dell’ideologia, dell’integralismo culturale o dell’utopia. Ma il peggio è che così si finisce per favorire, più o meno inconsapevolmente, l’abbandono e il degrado di tanti monumenti, chiese, palazzi, castelli e via discorrendo, per la manutenzione dei quali i fondi statali – pochi o tanti che siano – non basteranno mai.