Da Nord a Sud, l’Italia è a secco. Non piove ormai da più di cento giorni. E l’allarme siccità incombe da un capo all’altro della Penisola.
Vuol dire, innanzitutto, carenza di acqua potabile per i cittadini. Ma anche per la produzione agricola: frutta e verdura, in particolare. Ne risente perfino l’energia, già minacciata dalla guerra in Ucraina, dal momento che il 16% della produzione nazionale proviene dalle centrali idroelettriche, installate sulle sponde di fiumi e laghi.
Questo è stato uno tra gli inverni più caldi degli ultimi 65 anni. Se entro metà aprile non arriverà un po’ di pioggia, andando incontro al caldo e all’estate, la situazione minaccia di diventare davvero critica. E nel nostro Paese, oggi un quinto del territorio nazionale è già a rischio di desertificazione.
Negli ultimi mesi, da dicembre a febbraio, l’Italia ha registrato il 60% di neve e l’80% di neve in meno rispetto alla media stagionale. “Già a gennaio – scrive Gianluca Schinaia su Avvenire, il quotidiano della Conferenza episcopale – l’Arpa (il sistema delle Agenzie regionali per la protezione ambientale, diffuso su tutto il territorio nazionale – ndr) aveva comunicato che i millimetri di pioggia rilevati erano stati solo 4,8 mentre nello stesso periodo in passato se ne stimavano in media 46: dieci volte tanto”. E contemporaneamente, la temperatura è stata di 1,7° in più rispetto al trentennio 1981-2010: soprattutto al Nord (+2,3°) e in particolare nel Nord-Ovest (+2,6°).
La siccità ha colpito innanzitutto il bacino del Po con i suoi affluenti, dove si produce il 40% del Pil nazionale e rifornisce d’acqua circa 16 milioni di persone. “L’8 marzo scorso – informa l’autore dello stesso articolo – il Grande Fiume ha registrato i livelli delle portate più bassi degli ultimi trent’anni”. Ma è un trend generalizzato che riguarda i nostri fiumi principali, dall’Adige all’Arco e al Tevere. Ancora peggiore la situazione al Sud, specialmente nella Puglia “sitibonda”, l’unica regione italiana priva di acqua propria e tributaria perciò del Molise e della Campania.
Alla mancanza d’acqua, s’aggiunge purtroppo lo spreco di acqua. Gli italiani ne consumano più di tutti gli altri cittadini europei: in media, 220 litri al giorno a testa. Ma ne disperdiamo ancora di più, a causa dell’inefficienza e dei “buchi” nella rete idrica. “Secondo l’Istat, recuperando queste perdite si potrebbe garantire il fabbisogno d’acqua a circa 44 milioni di persone in un anno”, riferisce ancora il quotidiano cattolico.
Se il Nord piange, però, Roma non ride. Il lago di Bracciano, la riserva idrica della Capitale è vuoto e il fiume Tevere in diversi tratti è in secca. Lo stato di all’erta, dopo tre mesi senza pioggia, è già scattato. Ed è proprio il lago di Bracciano a destare le maggiori preoccupazioni. Da un anno, il bacino di acqua potabile dei romani non cresce più. I prossimi due mesi, secondo gli esperti, possono essere decisivi.
“Appena una settimana fa – scrivono Mirko Polisano e Chiara Rai sul Messaggero – la quota del livello dell’acqua è arrivata sotto i 104 centimetri, mentre lo zero idrometrico è fissato a 163,04 metri sul livello del mare che è il limite per lo sversamento naturale del lago nel fiume Arrone”. Se prima di giugno dovesse abbassarsi di altri 10 centimetri, arriverebbe a 161,90 metri sul livello del mare e quindi sotto il limite fissato per le captazioni (161,90 metri). E invece, le acque del lago dovrebbero aumentare di almeno 20 centimetri all’anno per raggiungere un livello di sicurezza.
La data di riferimento è il 2017. A marzo di quell’anno, il lago si trovava sotto i 112 centimetri e si rischiò una crisi nell’approvvigionamento di acqua potabile. Ora è al di sotto dei 104, poco meglio di allora ai fini del travaso naturale. “Di questo passo – commenta sullo stesso quotidiano il geologo Alessandro Mercali, consulente del Parco Regionale di Bracciano – la curva della crescita è piatta. Se il livello si mantiene stabile con il segno meno, il suo processo di guarigione potrebbe diventare un miraggio”.
In una condizione di sofferenza si trovano anche i fiumi intorno a Roma e in tutta la regione. “Nel Lazio – dichiara Angelo Ruggeri, meteorologo dell’Ampro (Associazione Meteo Professionisti) – il Tevere mostra una situazione in linea con gli inverni più siccitosi e anche i suoi affluenti presentano un livello basso per il periodo”. E oltre alla fornitura di acqua potabile, questa carenza mette a rischio anche l’irrigazione dei campi per la produzione agricola.
Ma la siccità – anche se fa rima – non è una “calamità naturale”. È prodotta e aggravata dal riscaldamento del pianeta che altera il clima, l’avvicendarsi delle stagioni, lo scioglimento dei ghiacciai e l’innalzamento del livello del mare. Cioè da tutti noi che contribuiamo, chi più chi meno, all’inquinamento dell’atmosfera e all’emissione di sostanze nocive, alimentando così l’”effetto serra”. Se un giorno la Terra diventerà un deserto, sarà soltanto colpa nostra.