LA GUERRA DEL GAS

LA GUERRA DEL GAS

Nei libri di storia sarà ricordata verosimilmente come “La guerra del gas”. Non è scoppiato solo per questo il conflitto tra Russia e Ucraina: Vladimir Putin ha deciso l’invasione soprattutto per impedire l’allargamento dell’Unione europea e della Nato verso i confini di quello che resta dell’impero sovietico. Ma è proprio la dipendenza dell’Europa dal gas, russo e ucraino, che lo ha spinto a sferrare un’offensiva militare contro Kiev facendo leva su questa debolezza energetica dei Paesi europei occidentali.

GUERRA DEL GAS

È una vulnerabilità che il vecchio Continente, e l’Italia in particolare, avrebbe dovuto evitare e risolvere già da molto tempo. Una dipendenza che coniuga interessi politici, economici e ambientali, indebolendo l’Unione europea nei confronti del resto del mondo. Ed è per questo che il Next Generation Ue ha avviato il suo Green New Deal, all’insegna della transizione energetica ed ecologica.

NORD STREAM

Quale transizione? Da che a che cosa? Da un’economica fondata sull’utilizzo dei combustibili fossili (petrolio e carbone in primis) che inquinano l’atmosfera; alterano il clima, provocando il riscaldamento del pianeta; danneggiano l’ambiente e la salute collettiva. A un nuovo modello di sviluppo economico e sociale, basato invece sulle energie rinnovabili, pulite e sicure, prodigate da madre natura: a cominciare dal sole e dal vento. È la tesi di fondo sostenuta da Ermete Realacci, presidente della Fondazione Symbola e presidente onorario di Legambiente, in un’intervista rilasciata a Lanfranco Parazzolo per Radio Radicale (vedi link in calce).

Per ridurre questa dipendenza energetica dall’estero, e contemporaneamente dai combustibili fossili, l’Europa e l’Italia hanno bisogno di sviluppare rapidamente le fonti alternative che forniscono il fotovoltaico e l’eolico. Ma su questa strada obbligata il nostro Paese è ancora in grave ritardo: basti pensare che nel 2021 l’Olanda ha ricavato circa 3.000 megawatt dalle “pale”, mentre l’Italia meno di 800. E dovremmo arrivare, secondo gli impegni assunti a livello europeo, a 7-8.000 all’anno.

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Questo dipende in gran parte dalla burocrazia, come Amate Sponde ha già raccontato più volte nei mesi scorsi: sono circa 200 i parchi eolici bloccati da cavilli e pastoie (https://www.amatesponde.it/stop-alle-pale/). In media, servono cinque anni per autorizzare una “pala”, mentre a Taranto ne sono stati necessari 12 per installare un impianto off shore. Ma la nostra arretratezza dipende anche dalle resistenze, a volte infondate o pretestuose, di un estremismo ambientalista che vorrebbe preservare una natura incontaminata. E se è giusto e doveroso salvaguardare il paesaggio, occorre tuttavia conciliare queste sacrosante ragioni con le esigenze dell’economia e dell’occupazione.

In questo contesto, s’inserisce l’appello lanciato al governo e alle Regioni da Agostino Re Rebaudengo, presidente di “Elettricità Futura”, la principale associazione delle imprese italiane del settore, affinché autorizzino entro giugno l’installazione di nuovi impianti per le rinnovabili. Con un investimento di 85 miliardi di euro, entro tre anni si potrebbero produrre così 60 GW di energie pulite, favorendo la creazione di 80mila nuovi posti di lavoro. Questo corrisponde a un terzo delle domande già presentate a Terna, la società che gestisce la rete elettrica nazionale. E come ha spiegato lo stesso Re Rebaudengo nella conferenza stampa a cui ha partecipato anche il vicepresidente Nicola Lanzetta, direttore dell’Enel, servirebbe a “garantire la sicurezza, ridurre la dipendenza energetica e abbassare il costo delle bolletta elettrica”.

Per quanto riguarda in particolare il nostro Paese, il gas “made in Italy” di cui disponiamo – che pure è il combustibile fossile meno inquinante –  rappresenta “poca cosa”, come dice Realacci nell’intervista a Radio Radicale. Nel 2020 ne abbiamo prodotti circa 3,5 miliardi di metri cubi e, anche se riuscissimo a raddoppiarli, ne consumiamo ben 70 all’anno. In ogni caso, conviene diversificare le fonti di approvvigionamento, dall’Azerbaijan (attraverso il controverso gasdotto TAP che sbarca sulla costa del Salento) e dal Nord Africa, per non dipendere soltanto dalla Russia di Putin.

GAS e PUTIN

Nella stessa intervista, il presidente Realacci definisce “una balla” l’ipotesi di un ritorno al nucleare. E l’amministratore delegato dell’Enel, Francesco Starace, l’aveva già bollata pubblicamente come “fantascienza”. Occorrono almeno 10-15 anni per costruire una nuova centrale, mentre lo sviluppo della fusione nucleare richiede una lunga e approfondita ricerca che comunque conviene proseguire.

Al momento, dunque, di fronte alla “guerra del gas” l’unica alternativa praticabile resta quella di intensificare le energie rinnovabili: eolico, fotovoltaico, idroelettrico e quant’altro. La stessa Germania è passata negli ultimi anni dal 6 al 50% della produzione energetica da fonti alternative e conta di arrivare all’80% entro il 2030. Questa è la soluzione che più conviene per l’ambiente, per l’economia e per l’indipendenza energetica. Ed è anche un fattore che può contribuire alla pace nel mondo.

Il video dell’intervista concessa a Radio Radicale da Ermeta Realacci, presidente di Symbola, è disponibile a questo link:

https://www.symbola.net/approfondimento/russia-ucraina-la-crisi-energetica-durante-il-conflitto-intervista-ad-ermete-realacci/

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