L’ENI SOTTO ACCUSA, GLI AMBIENTALISTI: “CONTINUA CON LE TRIVELLE”

L’ENI SOTTO ACCUSA, GLI AMBIENTALISTI: “CONTINUA CON LE TRIVELLE”

Dalla fiamma del pozzo petrolifero al sole del fotovoltaico. Chi non avesse ancora notato l’evoluzione del marchio Eni, può cercare su Internert la voce “Plenitude” – la sua controllata, partner del 72° Festival di Sanremo – e assisterà a questo gioco di prestigio nella migliore tradizione dell’illusionismo mediatico. Dalle fauci del cane a sei zampe, storico simbolo dell’Ente nazionale idrocarburi, non esce più il fuoco del petrolio bensì l’emblema sorridente dell’ambientalismo e in particolare dei verdi italiani: una sagoma stilizzata, e chissà perché mozzata, della grande stella che illumina e riscalda il pianeta.

ENI marchio 2ENI plenitude

Presentato il 22 novembre scorso al Capital Markets Day di Milano, il brand della nuova società è una mistificazione propagandistica che tenta di accreditare e trasformare l’ente petrolifero in un’improbabile associazione d’ispirazione ecologista. Questa “Plenitude”, secondo la retorica aziendale, rappresenterebbe “la pienezza di una visione globale e circolare dell’energia che continua a rigenerarsi”. Già, ma quale energia? Quella di origine fossile, sporca e inquinante? Oppure, quella alternativa, pulita e rinnovabile?

L’ente di Stato, controllato al 30% dalla mano pubblica, promette la “neutralità carbonica entro il 2040”, per fornire il 100% di energia verde a tutti i clienti. E annuncia un “modello di business unico”, con lo scopo di diventare “un’azienda carbon neutral al 2050”. Ma intanto con i suoi pozzi e le sue trivelle continua a estrarre gas e petrolio dalle viscere della terra e dalle profondità marine, ricavando un’energia che contribuisce a inquinare l’atmosfera e ad aumentare le emissioni nocive a danno del clima, dell’ambiente e della salute collettiva. E grazie all’aumento dei prezzi, nel 2021 quintuplica i profitti realizzando un utile di 4,7 miliardi di euro.

ENI trivelle

Un gruppo di organizzazioni e movimenti ambientalisti ha presentato perciò al Punto di Contatto Nazionale dell’Ocse (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico) un’istanza di denuncia contro il piano industriale dell’Eni: secondo quanto sostengono le organizzazioni promotrici dell’iniziativa, sarebbe inadeguato rispetto agli impegni internazionali sottoscritti per contrastare l’emergenza climatica. Fra le criticità rilevate dalle ong c’è il fatto che il piano non prevederebbe un taglio sufficiente delle emissioni previste per i prossimi anni e che mancherebbe una valutazione complessiva dell’impatto climatico delle attività d’impresa. Oltre a queste due criticità, le organizzazioni ambientaliste sottolineano un’assenza generale di informazioni “trasparenti e adeguate” e una mancata elaborazione di un piano di prevenzione e mitigazione dei rischi, come invece è previsto dalle Linee Guida dell’Ocse per le imprese multinazionali.

Alla presentazione dell’istanza di denuncia, s’è espressa così Marica di Pierri, portavoce della onlus A Sud: “Parliamo di greENIwashing perché il greenwashing sembra diventato per Eni un marchio di fabbrica. Per quanto si sforzi di raccontarsi come azienda attenta all’ambiente, inclusa la recente l’operazione Plenitude che ha imperversato anche sul palco di Sanremo, Eni resta saldamente il primo emettitore italiano di gas serra ed è circa al 30esimo posto a livello globale”. E la stessa di Pierri ha aggiunto: “Lo Stato italiano possiede oltre il 30% delle azioni di Eni. Anziché permettere all’impresa di condizionare le politiche energetiche nazionali, dovrebbe orientarne il piano strategico verso un’ottica di abbandono delle estrazioni, che invece sono ancora in crescita, anno dopo anno”.

Le organizzazioni promotrici dell’iniziativa sono: Rete Legalità per il clima, A Sud, Forum Ambientalista, Generazioni Future – Cooperativa di mutuo soccorso, Fridays for Future, Extinction Rebellion Milano, Per il clima fuori dal fossile, Emergenzaclimatica.it, Europa Verde, Greens/ALEa al Parlamento Europeo, Diritto Diretto.

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