Sei pale eoliche, alte 150 metri, al posto di quattromila faggi d’alto fusto. Lo splendido paesaggio del golfo di Squillace (Catanzaro), rischia di essere stravolto da questa installazione a Monterosso, in provincia di Vibo Valentia. E così il “caso Calabria” diventa emblematico di una situazione che riguarda anche diverse altre regioni d’Italia, minacciate dalle “pale” impiantate sul loro territorio, spesso in aree di pregio ambientale come le zone boscose, i crinali montuosi o addirittura i litorali.
La denuncia proviene da “International Society of Doctors for the Environment” (Isde), l’Associazione medici per l’Ambiente che si occupa anche dell’impatto per la salute collettiva. Nel 2020, come si legge in un documentato articolo pubblicato sul quotidiano il manifesto, la Calabria ha avuto un surplus di produzione energetica del 179,5%. E l’eolico, con i suoi 400 impianti, ha contribuito con 2.132 GWh, pari a circa il 13% del totale, alla produzione complessiva regionale di 16.597 GWh (dati Terna). Una quantità di energia largamente superiore ai consumi che, invece, negli scorsi anni hanno registrato un decremento. Il peggio è, sottolinea l’Isde, che “non vi è alcun piano energetico che preveda una progressiva sostituzione delle fonti fossili con quelle rinnovabili, ma le une si vanno a sommare alle altre in una brutta ‘addizione” che nuoce alla Calabria e a chi vi abita”, danneggiando anche il turismo.
Qual è, dunque, la spiegazione di questa “corsa” all’energia eolica? La risposta dell’Associazione medici per l’Ambiente è esplicita: “Mettere le mani sui ricchi incentivi economici previsti per tali fonte energetiche”. Con in più il rischio di favorire il malaffare e l’infiltrazione della criminalità organizzata.
I conti sono presto fatti. Ogni megawatt installato rende almeno 300mila euro all’anno, per trenta o anche quarant’anni. “Il tutto – sostiene ancora l’Isde – spesso all’ombra di ‘famiglie’ ‘ndranghetiste che hanno tratto da questo business, che continua senza conoscere crisi, i proventi maggiori”.
Per completare il quadro, i medici dell’associazione non mancano di elencare i pericoli che le “pale” possono produrre per l’ambiente e per la salute. Il consumo di suolo, come nel caso del golfo di Squillace, con la conseguente colata di cemento per ancorare le torri al terreno e realizzare le strutture di distribuzione dell’energia. I danni per la flora e per la fauna, in particolare per gli uccelli colpite dai rotori. E poi, anche la salute umana, in termini di rumore se la distanza delle “pale” dalle abitazioni non è sufficiente; il cosiddetto shadow flickering (letteralmente “ombreggiamento intermittente”) che si produce fra il sole e gli edifici; e infine, i campi elettromagnetici che ne derivano.
È per tutti questi motivi che il “caso Calabria” rappresenta un modello negativo di produzione dell’energia eolica. Qui se ne produce anche troppa rispetto alle esigenze e ai consumi locali. Ma nel frattempo, all’ombra delle “pale”, fioriscono affari che avvantaggiano pochi a scapito di molti. E soprattutto, minacciano di danneggiare in modo irreparabile l’ambiente, il paesaggio e la salute degli abitanti.