LO SPRECO DI ACQUA DAI “NASONI” DI ROMA: “UN CATTIVO ESEMPIO”

LO SPRECO DI ACQUA DAI “NASONI” DI ROMA: “UN CATTIVO ESEMPIO”

A Roma, li chiamano “nasoni”: per via di quei rubinetti sporgenti, da cui sgorga continuamente l’acqua potabile. Sono le antiche fontanelle disseminate nelle strade della Capitale che risalgono addirittura all’epoca del fascismo. Ma perché restano sempre aperte e sprecano l’acqua che finisce direttamente negli scarichi o nei tombini?

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Se lo chiede la signora che si firma V.V. e che ha rivolto queste domande al nostro sito, inviando ad Amate Sponde anche una piccola Photogallery di documentazione con le immagini che ha scattato nelle vie intorno a Villa Borghese. “Tutti ci dicono, compreso il Comune di Roma, che l’acqua è un bene prezioso, che bisogna risparmiarla, che non dobbiamo sprecarla. E allora, perché il Campidoglio per primo continua a dare il cattivo esempio?”. Già, perché?

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“Va bene che la gente per strada ha diritto di dissetarsi – continua la nostra lettrice – ma non viviamo nel deserto, molti girano con la bottiglietta appresso e nei bar non si nega un bicchier d’acqua e nessuno”. E lei stessa conclude: “Il Comune di Roma farebbe bene a installare rubinetti a chiusura, per non mettere fine a questo spreco continuo che rischia involontariamente di diventare diseducativo per la popolazione”. Non possiamo che dare ragione alla signora V.V.

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Un’antica fontana di acqua potabile nel centro di Lisbona (Portogallo)

In passato, come si ricorderà, Amate Sponde ha affrontato più volte la questione dell’acqua pubblica. E ora raccogliamo volentieri l’invito della nostra lettrice, girando le sue domande al Campidoglio. Attendiamo una risposta.

In un articolo intitolato appunto “Acqua sprecata”, abbiamo scritto qualche tempo fa che ne consumiamo troppa e che quasi metà si perde sulla rete (42%). “Il fatto è che, mentre crescono gli investimenti nel settore idrico, le abitudini degli italiani risultano ancora poco sostenibili. Nel Malpaese, il consumo pro capite di acqua potabile si aggira intorno ai 215 litri al giorno per abitante, contro a una media europea di 125 litri. E gli investimenti nel 2019 sono aumentati del 17% rispetto al 2017, arrivando a 46 euro per abitante; ma nelle gestioni comunali “in economia” che servono 9 milioni di cittadini, specie al Sud, gli investimenti scendo a 8 euro per abitante.

I dati forniti dall’edizione 2021 di Blue Book, il Rapporto biennale sul servizio idrico integrato della Fondazione Utilitatis, il centro studi di Utilitalia, lanciano nello stesso tempo un allarme e un’accusa sullo spreco di acqua nel nostro Paese. Tutto ciò significa che occorrono ancora molti sforzi per regolare la distribuzione di una risorsa preziosa e fondamentale come questa. Il contenimento delle perdite idriche assorbe, infatti, circa un quarto degli investimenti programmati (25%), mentre il 20% va al miglioramento della qualità dell’acqua depurata e il 15% all’adeguamento del sistema fognario.

Nonostante i progressi nella depurazione, le procedure Ue di infrazione riguardano ancora 939 dei nostri agglomerati urbani, per 29,7 milioni di abitanti. La maggior parte di queste procedure (73%) si concentra al Sud, dove il servizio è gestito in gran parte dai Comuni. E perciò ora le aspettative degli amministratori si affidano al Piano nazionale di ripresa e resilienza, legato al Nex Generation Ue, che dovrebbe imprimere una spinta alla trasformazione del sistema idrico.

Ma, forse, cominciare dai “nasoni” della Capitale sarebbe un segnale educativo. Non ci vuole molto, in fondo, a installare qualche rubinetto per evitare questo spreco quotidiano che è sotto gli occhi dei cittadini romani. L’acqua, come si dice, è l’oro del pianeta.

 

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