Nucleare sì, nucleare no. Continuano le polemiche sull’energia più controversa nella storia dell’umanità, già oggetto in Italia di un referendum popolare che dieci anni fa, il 12 e 13 giugno 2011, aveva chiuso le porte all’atomo. Ora, in piena transizione ecologica, si parla di “nucleare pulito” o addirittura di “nucleare verde” come se una fonte energetica di distruzione e di morte potesse mai diventare “rinnovabile”. Ed è di appena qualche giorno fa la notizia che la Francia, spesso citata a modello per le sue centrali, ha dovuto chiuderne due per guasti ai reattori.
È toccato a Rossella Muroni, deputata di FacciamoECO ed ex presidente nazionale di Legambiente, replicare a un intervento di Chiccco Testa, presidente del Fise Assoambiente, pubblicato sul quotidiano Il Foglio. Sullo stesso giornale, ha replicato con un articolo intitolato “Smontare le balle atomiche su nucleare e rinnovabili”. La parlamentare ecologista parte dalla considerazione, su cui a parole tutti convergono, che “per realizzare la transizione serve decarbonizzare la nostra economia”. Ma poi, quando si passa alle proposte e ai fatti concreti, emergono i distinguo e le differenze.
“Dare a gas e atomo la patente di attività verdi e consentire che ricevano gli ingenti finanziamenti ad esse riservati – avverte Muroni – sarebbe un grave errore”. E spiega: “Il nucleare a oggi non ha risolto i problemi di scorie e sicurezza, ha costi e tempi incompatibili con quelli della transizione e quello sicuro di quarta generazione ancora non c’è”. Da qui, a suo parere, la necessità di orientare gli sforzi maggiori nei prossimi dieci anni sull’obiettivo delle “zero emissioni” nette.
Allo stato attuale, secondo la deputata di FacciamoECO, “l’urgenza oggi è concentrare risorse e semplificazioni per aumentare potenza rinnovabile ed efficienza”. E, citando una stima di Elettricità Futura, aggiunge che “centrare l’obiettivo e arrivare al 2030 con 70GW di nuova potenza pulita installata permetterebbe di attivare, nel solo settore elettrico, investimenti per 100 miliardi e di creare 90.000 nuovi posti di lavoro”.
Fatto sta che, come documentano i dati del Rapporto GreenItaly di Fondazione Symbola e Unioncamere, quasi 500mila aziende hanno già investito sul green: “Sono quelle – conclude Muroni – che innovano ed esportano di più e che producono un numero maggiore di posti di lavoro, resistendo meglio alla crisi”.
Nelle settimane scorse, a suscitare un vespaio di reazioni e polemiche era stata la sortita del ministro della Transizione ecologica, Roberto Cingolani, a favore di un ritorno all’energia nucleare, seppure in versione “verde” o pulita. Per ammissione generale, si tratta di una prospettiva a lungo termine, non meno di 30-40 anni, rimessa allo studio e all’evoluzione di nuove tecnologie. Tanto che lo stesso ministro è stato costretto poi a fare marcia indietro, riconoscendo che è un’ipotesi proiettata nel futuro. Ma il rischio è che queste “fughe in avanti” possano ostacolare o rallentare proprio quella “transizione” che Cingolani dovrebbe guidare e accelerare nel suo incarico governativo.
A suscitare le critiche maggiori, è stato l’inopportuno riferimento ai cosiddetti “ambientalisti radical-chic”, come se fossero i nemici della conversione ecologica. La verità è che, senza un certo estremismo ecologista, oggi non si parlerebbe neppure di riscaldamento globale e di variazioni climatiche. E infatti, è intervenuto lo stesso presidente del Consiglio, Mario Draghi, per avvertire che “non c’è tempo da perdere” e che il nostro pianeta “rischia conseguenze catastrofiche”.
In attesa del fantomatico “nucleare pulito”, o di quarta generazione, non c’è che da proseguire dunque nello sviluppo delle fonti rinnovabili, ricavate dalla natura: sole, vento e magari “idrogeno verde”. E ciò anche per rispettare le direttive europee che prevedono di ridurre del 50% le emissioni di gas nocivi entro il 2030 e la “decarbonizzazione” completa entro il 2050. Da qui ad allora, se effettivamente la scienza individuerà altre forme di energia nucleare, ci sarà eventualmente tempo e modo di riparlarne.
Da segnalare, a questo proposito, l’intervento di Francesco Starace, amministratore delegato e direttore generale del Gruppo Enel, che ha definito “fantascienza” un prossimo ritorno al nucleare. “Bisogna fare presto”, ha avvertito Starace. E ha aggiunto: “Nel prossimo decennio il sistema energetico mondiale sarà elettrificato: l’energia elettrica entrerà come fonte primaria in tutti i settori industriali, spiazzando l’suo dei combustibili fossili”. A suo parere, da ingegnere nucleare e capo azienda, “l’energia da fonti rinnovabili si moltiplicherà per quattro volte e diventerà dominante”.
Nel frattempo, continua anche l’odissea dei scorie prodotte dalle nostre vecchie centrali. In vent’anni, dal 1999 a oggi, sono stati spesi 4 miliardi di euro, ma è stato concluso appena il 30% dei lavori previsti. E “la gestione pericolosa gestione dei rifiuti nucleari” è ancora in corso senza che sia stato costruito il deposito dove stoccarli, come racconta in un documentato articolo per la “Dataroom” del Corriere della Sera la giornalista Milena Gabanelli, già conduttrice di Report su Rai 3.
Entro il 2014 la società Sogin, costituita nel 1999 con l’incarico di chiudere le centrali di Caorso, Trino Vercellese, Garigliano e Latina, avrebbe dovuto mettere in sicurezza i rifiuti nucleari di tutti gli impianti. Ed entro il 2019 smantellare le centrali. Costi previsti 3,7 miliardi di euro. Ma, dopo i primi dieci anni, il costo totale sale a 5,71 miliardi e la fine lavori viene spostata al 2025. Fatto sta che il deposito nazionale per lo stoccaggio dei rifiuti ancora non è stato scelto, nelle 12 aree individuate fra le province di Alessandria, Torino e Viterbo. E dobbiamo pagare 50 milioni l’anno per mandarli in Inghilterra e in Francia.