Un “regalo” di 150 milioni all’Eni, l’ente nazionale che ancora si denomina con la “i” di idrocarburi e sventola il vessillo del cane a sei zampe con la fiamma che fuoriesce dalla bocca. A dispetto della transizione ecologica, il governo di Mario Draghi ha stanziato questa cifra nella legge di Bilancio appena varata e trasmessa al Senato. È destinata a finanziare progetti per il riuso delle materie prime e l’efficienza energetica, ma anche il riciclo e lo stoccaggio della CO₂ (in sigla Ccus – Carbon capture, usage and store). E secondo quanto dichiara Luca Iacoboni di “Greenpeace” al quotidiano Domani, “l’unica compagnia che ha presentato progetti è l’Eni che vuole usare così i giacimenti dismessi di Ravenna per produrre idrogeno blu da metano: una soluzione che – a suo parere – finisce per avvantaggiare le fonti fossili”.
Lo stoccaggio dell’anidride carbonica potrebbe interessare diversi settori, dalle acciaierie ai cementifici. Tuttavia, come si legge in uno studio del think tank Ecco citato dallo stesso giornale, “gli unici esempi di applicazioni relativamente mature riguardano l’industria dell’upstream petrolifero”: Vale a dire la produzione di gas naturale, olio combustibile e petrolio, quella praticata appunto dall’Eni. Da qui, l’accusa che tecnologia Ccus “rappresenta un’estensione delle attività dell’industria fossile con la prospettiva di procrastinare la dismissione degli impianti”. Quello che vogliamo (e dobbiamo) far uscire dalla porta, insomma, rientrerebbe così dalla finestra, con l’aggravante che a farlo sarebbe un ente di Stato.
Non è la prima volta, del resto, che contro l’Eni si appuntano le critiche degli ambientalisti. Le trivellazioni petrolifere continuano, sia in mare sia in terra. Le sue piattaforme offshore incombono dall’Alto Adriatico al Mar di Sicilia, minacciando il paesaggio e di conseguenza il turismo. E in Basilicata, dopo i numerosi incidenti agli stabilimenti del “cane a sei zampe” registrati in Val d’Agri, non si fermano le proteste della popolazione e degli ambientalisti che temono l’inquinamento delle falde freatiche e dell’atmosfera.
In un’intervista rilasciata a suo tempo al Corriere della Sera, l’amministratore delegato dell’Eni, Claudio De Scalzi, aveva dichiarato che l’azienda potrebbe essere in grado di “stoccare dai 4 ai 5 milioni di tonnellate di CO₂ l’anno”. Un’operazione che in totale arriverebbe a 300-500 milioni, con un costo complessivo di circa 2 miliardi. Ma già queste parole, a giudizio di “Greenpeace”, sarebbero “Una garanzia di fallimento ambientale”: l’Eni, infatti, con i suoi giacimenti emette 43 milioni di tonnellate di anidride carbonica all’anno. Per il think tank Ecco, secondo quanto riporta il quotidiano Domani, “la Ccus è una soluzione altamente inefficiente da un punto di vista economico e contraddittoria rispetto alla strategia complessiva di decarbonizzazione”.