ALLARME DISCARICHE, FINIRANNO IN 3 ANNI

ALLARME DISCARICHE, FINIRANNO IN 3 ANNI

La capacità residua delle discariche italiane si esaurirà entro i prossimi tre anni, con differenze significative tra Nord (4,5 anni) e Sud (1,5 anni). È la Sardegna la regione che si trova nella condizione peggiore, con una previsione pari a sei mesi. Occorrono perciò almeno 4,5 miliardi di euro per risolvere il problema della gestione dei rifiuti in Italia, vale a dire un quarto dei fondi con cui il nostro Paese finanzia ogni anno i sussidi, dannosi per l’ambiente, legati all’utilizzazione dei combustibili fossili.

“Questi investimenti – come spiega Vito de Ceglia in un articolo apparso su Repubblica.it – sono necessari per costruire nuovi impianti di recupero energetico e di frazione organica che consentirebbero di generare fino a 11,8 miliardi di euro di indotto economico, con un gettito per lo Stato di 1,8 miliardi e una riduzione della Tari per le famiglie italiane superiore a 550 milioni. Dal punto di vista ambientale, la riduzione del deficit impiantistico porterebbe a una riduzione di 3,7 milioni di tonnellate di emissione di CO₂, pari al totale delle emissioni generate dai settori manifatturieri della produzione del metallo, del ferro e dell’acciaio”.

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Un termovalorizzatori per lo smaltimento e il riciclo dei rifiuti

ECONOMIA CIRCOLARE. Le stime si possono leggere nei dieci enunciati nel Position Paper elaborato da The European House-Ambrosetti in collaborazione con A2A, la più grande multiutility italiana. Il documento, intitolato “Da Nimby a Pimby. Economia circolare come volano della transizione ecologica e sostenibile del Paese e dei suoi territori”, è stato presentato in occasione del Forum Ambrosetti di Cernobbio, con un duplice obiettivo: definire uno scenario strategico per la gestione circolare dei rifiuti, quantificando prima il reale fabbisogno delle Regioni italiane e poi delineando un modello di sviluppo basato sul superamento della cosiddetta “Sindrome di Nimby” (Not in my back yard, non nel mio giardino o cortile). A quanto risulta, infatti, un impianto contestato su 3 riguarda proprio la gestione dei rifiuti). Altro tema attiene ai tempi certi per la realizzazione degli impianti: oggi scontano una lunghezza eccessiva della fase di progettazione e autorizzazione che in media assorbe il 60%.

Così l’Italia potrebbe rispondere alle indicazioni del Circular Economy Action Plan dell’Unione europea, adottato lo scorso marzo, che punta su una gestione dei rifiuti orientata al recupero e alla riduzione del ricorso alla discarica, fissando per il 2035 il target di riciclo effettivo di rifiuti urbani al 65% e di conferimento in discarica inferiore al 10%. Ma il fatto è che la collocazione attuale dell’Italia risulta ancora lontana dagli obiettivi Ue, in particolare sul fronte delle discariche: la nostra produzione di rifiuti urbani è di circa 30 milioni di tonnellate e il tasso di conferimento in discarica è 30 volte più alto di quello dei principali Paesi europei (Germania, Belgio, Danimarca, Svezia e Svizzera),  per un totale di 6,3 milioni di tonnellate annue che equivalgono complessivamente a quanto viene conferito in discarica dalla Germania e da altri 15 partners Ue. “In pratica – aggiunge l’autore dell’articolo – l’Italia raggiunge una quota del 21% dei rifiuti e solo quattro Regioni — Lombardia, Emilia-Romagna, Friuli-Venezia Giulia e Campania — che si posizionano al di sotto del 10% fissato dal Piano Ue. La maglia nera spetta alla Sicilia che utilizza le discariche per trattare più della metà (58%) dei rifiuti urbani generati”.

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La mappa dei termovalorizzatori in funzione attualmente in Italia

PROCEDURE D’INFRAZIONE. Nel nostro Paese aumentano, intanto, le procedure d’infrazione “aperte”: dalle 62 che erano alla fine del 2017 sono diventate 82. Un incremento del 32% che colloca l’Italia al settimo posto tra i Paesi dell’Ue-27 con il risultato che, dal 2012 a oggi, le sentenze di seconda condanna inflitte al Belpaese sono costate oltre 750 milioni di euro all’erario, di cui 152 versati per sanzioni forfettarie e circa 600 a titolo di penalità. Nel confronto europeo, siamo di gran lunga il paese che ha dovuto versare la cifra maggiore, rispetto a Grecia (350 milioni), Spagna (122 milioni) e Francia (91 milioni). Tra i principali motivi di infrazione si annoverano: la presenza di discariche abusive (ancora quasi 200 attive); la gestione dei rifiuti in Campania (non in linea con gli standard europei per il recupero e lo smaltimento dei rifiuti); e la mancata conformità delle infrastrutture di gestione e trattamento delle acque reflue (11% sul totale delle infrazioni nel decennio).

Il caso più critico è quello degli impianti dedicati alla frazione organica: a oggi, solo la metà di questi rifiuti è trattata secondo canoni avanzati che permettono il recupero combinato di materia (compost) e di energia (biogas). Lo studio segnala, inoltre, che in futuro l’Italia sarà costretta a trattare ulteriori 3,2 milioni di tonnellate di frazione organica, pari al 50% in più dei volumi attuali: occorrerebbero, perciò, 38 nuovi impianti, di cui oltre l’80% nel Centro-Sud, per un investimento complessivo di circa 1,3 miliardi di euro. Nel complesso, il trattamento della frazione organica aggiuntiva e la conversione da biogas potrebbero generare fino a 768 milioni di m3 di biometano, pari a circa il 10% del potenziale totale della produzione italiana.

Per raggiungere gli obiettivi europei, l’Italia dovrà ricorrere anche al recupero energetico di ulteriori 3,1 milioni di tonnellate di rifiuti urbani, pari al 53% in più del totale a oggi. Il paese avrà quindi bisogno di realizzare tra 6 e 7 nuovi impianti di termovalorizzazione dei rifiuti urbani, con un investimento complessivo compreso tra 2,2 e 2,5 miliardi di euro. A tutto ciò si aggiunge il fabbisogno relativo ai fanghi di depurazione, il principale residuo dei trattamenti depurativi delle acque reflue: l’ottimizzazione del trattamento dei fanghi consentirebbe di avviarne 850 mila tonnellate a recupero energetico, con la costruzione di otto linee aggiuntive per il recupero energetico all’interno di termoutilizzatori già esistenti sul territorio nazionale, o previsti secondo le stime del Position Paper, per un controvalore di investimenti di circa 700 milioni.

 

 

 

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