STOP AL CEMENTO: L’ITALIA “GREEN” PERDE 14 ETTARI DI SUOLO AL GIORNO

STOP AL CEMENTO: L’ITALIA “GREEN” PERDE 14 ETTARI DI SUOLO AL GIORNO

Benché l’epidemia di coronavirus abbia imposto uno stop alle attività economiche, nel 2020 l’Italia ha perso più di 51 chilometri quadrati di suolo naturale. È da decenni ormai che l’Italia verde continua a sparire al ritmo impressionante di oltre 14 ettari al giorno, quasi due metri quadrati al secondo. In un articolo pubblicato sul settimanale L’Espresso – in ricordo di Antonio Cederna, uno dei padri nobili dell’ambientalismo italiano – Paolo Biondani cita questi dati per documentare che purtroppo la cementificazione del Malpaese non si ferma.

La “colata lavica” degli speculatori e dei palazzinari avanza sulla “crosta repellente di cemento e asfalto”, come la chiamava Cederna, consumando suolo e territorio, a danno della natura, dell’ambiente e della salute collettiva. “Quest’anno, nonostante la crisi sanitaria e produttiva, la speculazione edilizia è ripartita ancora più forte”, avverte l’autore dell’articolo. E spiega: “Solo nei primi tre mesi del 2021 sono state autorizzate nuove costruzioni per altri quattro milioni di metri quadrati”.

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(Fonte: L’Espresso)

 

Regioni e Comuni hanno autorizzato, soprattutto nelle zone più urbanizzate, migliaia di nuove case e fabbricati residenziali, centri commerciali e capannoni. A cui s’aggiungono strade e aree di parcheggio, cantieri e cave. L’intera fascia pedemontana, tra Piemonte, Lombardia e Veneto, è diventata ormai “un’unica caotica megalopoli padana”. Ma la cementificazione s’è estesa alle coste della Romagna, delle Marche e dell’Abruzzo, ancora libere dai palazzoni vista mare, senza risparmiare quelle della Sardegna, della Sicilia e del Salento in Puglia. La “colata” ha invaso anche le poche aree agricole disponibili intorno alle grandi città, come Roma, Milano, Torino, Firenze e Catania.

Secondo i dati ufficiali forniti dall’Istat sui “permessi di costruire” rilasciati negli ultimi vent’anni, dal 2000 al 2007 sono stati autorizzati in media ogni anno più di 40 milioni di metri quadrati, con punte fino a 52. Nella cittadina pugliese di Modugno, alle porte di Bari, s’è raggiunto il tasso del 41,49% di suolo consumato, uno dei più altri in tutt’Italia (foto sotto). Con la recessione del 2008-2009, la velocità dell’assalto al territorio s’è ridotta di poco, scendendo a 11 milioni nel 2014. Ma poi è ripresa a ritmo crescente, fino ad arrivare nel primo trimestre di quest’anno a +16% per gli edifici residenziali e addirittura a +26% per i capannoni industriali.

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“I dati Istat – commenta Biondani – sono allucinanti, ma parziali: non conteggiano la massa degli abusi che nel nostro Paese è incalcolabile. E tutte le superfici esterne ai fabbricati, anche se ricoperte da strade o parcheggi asfaltati. Quindi la crosta è molto più grande”. Lo confermano anche i ricercatori dell’Ispra, l’Istituto superiore per la protezione dell’Ambiente, confrontando le fotografie aree della stessa zona a distanza di 12 mesi: soltanto nel 2020, mentre l’edilizia sembrava concentrata sulle ristrutturazioni incentivate da bonus e superbonus, sono statui consumati oltre 56 milioni quadrati di suolo.

Eppure, le normative europee prescrivono di ridurre progressivamente il consumo di territorio, con l’obiettivo di scendere a quota zero entro il 2050. E ciò per difendere, oltre all’ambiente e all’intero pianeta dal riscaldamento globale, anche la nostra salute individuale e collettiva. Come si può salvare, dunque, quello che ancora resta dell’ex Belpaese? Augusto Barbera, giudice costituzionale e massimo esperto di urbanistica, risponde così a L’Espresso: “L’ambiente è una materia esclusiva dello Stato”. E quindi, a suo parere, occorrerebbe una legge-catenaccio che fissi limiti inderogabili, in forza della Costituzione, per bloccare nuove costruzioni nelle aree a rischio di frane e alluvioni, nelle oasi ecologiche o sulle coste del mare, dei fiumi e dei laghi.

 

 

 

 

 

 

 

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