A 70 anni dalla catastrofica alluvione del novembre 1951 che causò circa cento vittime e più di 180mila senza tetto, il Polesine rischia di sprofondare per effetto delle perforazioni petrolifere in mare. Predisposto già da nove Comuni un ricorso al Tar contro le trivelle nel Delta del Po, ora il Veneto si appella anche al governo Draghi per fermare il rinnovo delle concessioni nell’Alto Adriatico, anche a favore dell’ENI, l’ente di Stato accusato di non abbattere le emissioni nocive nel suo piano triennale, come ha già denunciato da Amate Sponde nelle scorse settimane (vedi articolo in calce).
In un’intervista al TGR, Ivan Dall’Ara – presidente della Provincia di Rovigo e sindaco di Ceregnano – annuncia battaglia per stoppare le autorizzazioni concesse recentemente dal ministero della Transizione ecologica. Oltre alla perforazione di un pozzo nel giacimento Calipso dell’Eni, al largo di Ancona, la compagnia Po Valley ha ottenuto il via libera per sfruttare il giacimento Teodorico, al largo di Comacchio: verranno posate una nuova piattaforma e le condutture di collegamento con quella già esistente denominata Naomi Campora, da cui passano le tubazioni verso terra, mentre saranno perforati altri due pozzi.
Qui, insieme alla tutela del mare, della sua flora e della sua fauna, è in gioco la salvaguardia di un territorio particolarmente delicato, patrimonio dell’umanità e riserva di biosfera dell’Unesco, che rischia di essere compromesso dalle ricerche di gas e petrolio lungo la costa adriatica. Scende in campo, perciò, anche il sindaco di Loreo (Rovigo) e presidente del Parco del Delta del Po, Moreno Gasparini. È tutta la Pianura padana, insomma, che si trova sotto minaccia di esondazioni a causa degli interventi sul fondo marino.
“Non c’è un solo motivo valido in favore delle trivellazioni al largo del Delta del Po. E la politica deve dirlo forte”, interviene dal fronte dell’opposizione Graziano Azzalin, ex consigliere regionale del Pd e rappresentante veneto del Comitato promotore della consultazione popolare di cinque anni fa. E spiega: “Le ragioni alla base del referendum dell’aprile 2016 sono ancora tutte sul tavolo, per questo i rappresentanti delle istituzioni non abbassino la guardia e trovino un sussulto per opporsi a un progetto retrogrado e sbagliato, indipendentemente dal colore della maggioranza governativa”.
A cavallo tra il Veneto e l’Emilia Romagna, l’area delle diramazioni fluviali che consentono al nostro fiume più lungo (652 km) di sfociare nell’Adriatico settentrionale si estende in totale per 180 chilometri quadrati e comprende oltre 70mila abitanti. Ad allarme le popolazioni locali in rivolta, c’è soprattutto il fenomeno della subsidenza che potrebbe essere accentuato dalle trivellazioni: in 20 anni il Polesine è già sprofondato di tre metri e mezzo sotto il livello del mare. E oggi sono soltanto 10mila gli ettari di terreno che vengono mantenuti all’asciutto grazie al lavoro costante e costoso di 38 idrovore, 117 pompe e oltre 500 chilometri di argini rialzati. Ammonta a due milioni e mezzo di euro all’anno, pertanto, la bolletta di energia elettrica per alimentare questo complesso sistema di protezione ambientale.
IL VIDEO STORICO DEL TGR VENETO (1951): https://www.rainews.it/tgr/veneto/video/2018/11/ven-14-novembre-1951-alluvione-Polesine-eb6869fe-8b27-4326-b349-3af0ad2885d7.html
L’ENI SOTTO ACCUSA: NON ABBATTE LE EMISSIONI NOCIVE: https://www.amatesponde.it/processo-alleni/