A un anno di distanza dallo scoppio della pandemia, qual è lo stato di salute dei distretti industriali italiani? Quali sono ancora le criticità da superare? E quali i fattori di resilienza su cui far leva e le priorità da affrontare, per un rilancio economico duraturo e sostenibile? A tutte queste domande, risponde la tredicesima edizione del Rapporto annuale che la Direzione Studi e Ricerche di Intesa Sanpaolo dedica all’evoluzione economica e finanziaria delle imprese distrettuali.
Il dossier, presentato dal Consigliere delegato della Banca, Carlo Messina, dal Chief Economist Gregorio De Felice e dal Responsabile della Ricerca Industry Banking Fabrizio Guelpa, fornisce una serie di indicazioni interessanti sulle filiere produttive, tra cui risaltano le priorità del digitale e del green. Secondo le previsioni del Rapporto, dopo un calo di fatturato stimato pari al 12,2% nel 2020, per il 2021 è atteso un rimbalzo dei livelli produttivi, con un incremento dell’11,8%. Il recupero sarà parziale e lascerà il fatturato dell’aggregato distrettuale del 3% circa inferiore al livello del 2019. Pesano le difficoltà del Sistema moda e, più in generale, u1na prima parte dell’anno ancora penalizzata dalla pandemia.
La reazione è comunque significativa considerando che lo scorso anno il 25,2% delle imprese aveva avuto una marginalità negativa. Circa la metà di queste ha potuto contare sulla liquidità interna per appianare le perdite. Le altri hanno potuto attivare moratorie o finanziamenti garantiti a tassi agevolati.
La forza delle filiere
“Più elementi – si legge nel Rapporto 2021 di Intesa Sanpaolo – ci spingono a un cauto ottimismo e a pensare che le filiere distrettuali possano continuare a rappresentare un tratto imprescindibile del tessuto produttivo italiano”. In presenza di know-how e competenze diffuse, il “gioco” virtuoso di concorrenza e cooperazione continua tra attori della filiera ha consentito a molti distretti di competere con successo all’estero o di collocarsi stabilmente nelle catene globali del valore.
Dalla network analysis emergono segnali di una struttura gerarchica delle relazioni tra imprese, con la presenza di capofila che concentrano un maggior numero di transazioni. Spiccano però anche relazioni tra imprese che appartengono alla stessa classe dimensionale, a testimonianza dell’elevato spirito di collaborazione che anima le filiere distrettuali.
Le imprese distrettuali del Sistema moda sono ben inserite nelle filiere del lusso: rappresentano il 65% di addetti e fatturato. Al contempo, la filiera del lusso ha un peso rilevante per i distretti: coinvolge il 42% dei loro addetti e attiva il 51% del loro fatturato. Alcuni distretti della filiera della pelle sono divenuti la piattaforma produttiva del segmento del lusso, a servizio delle case di moda italiane e francesi. E’ questo il caso della Pelletteria e calzature di Firenze e delle Calzature della Riviera del Brenta.
Nei distretti sono presenti vantaggi di costo: l’abbondante offerta nei distretti si traduce in un grado di dipendenza contenuto da fornitori e costi di approvvigionamento. Non a caso nei distretti il 47% dei nuovi fornitori attivati durante la pandemia (pari nei primi nove mesi del 2020 al 19% in quantità e al 7,6% in valori) sono locali (entro i 50 Km) e hanno spesso sostituito forniture strategiche di prossimità. L’effetto netto è stato un lieve allungamento delle filiere distrettuali (+3,1 Km, un valore allineato ai non distretti), che tuttavia mostrano distanze di approvvigionamento significativamente inferiori rispetto alle aree non distrettuali (116 Km vs 157).
La localizzazione delle filiali produttive e commerciali conferma il maggior radicamento locale per le PMI distrettuali: non solo è più bassa la quota di imprese plurilocalizzate (11,2% vs 13,1% nelle aree non distrettuali), ma in queste una percentuale più elevata di addetti lavora nella provincia della sede operativa (78% vs 72%). Le grandi imprese distrettuali, invece, sono articolate su scala nazionale e sono aperte all’estero, portando i prodotti realizzati nei distretti anche al di fuori dei confini nazionali.
Le priorità: digitale e green
I prossimi anni saranno decisivi per il rilancio dell’economia italiana. Sarà fondamentale impiegare bene le risorse provenienti da Next Generation EU e far ripartire gli investimenti in macchinari 4.0, digitale, green, capitale umano. Le PMI distrettuali possono vincere queste sfide.
Sul fronte del digitale, nei distretti già prima della pandemia era in crescita l’incidenza di ICT e R&S sul totale degli acquisti di beni e servizi, salita nel 2019 al 4,1% (dal 3,7% del 2016), grazie al traino della meccanica (7,1% vs 5,7% delle aree non distrettuali, il 25% in più). I processi di digitalizzazione hanno subito un’accelerazione nel 2020, soprattutto nel lavoro a distanza e nei distretti. Restano però ritardi in modo particolare tra le imprese più piccole.
Nella meccanica, le aziende che adottano soluzioni 4.0 hanno importanti ritorni in termini di miglioramento della qualità (indicato dall’84% delle imprese), aumento della velocità di produzione (73%), flessibilità e personalizzazione della produzione (71%), miglioramento della sicurezza (69%), efficientamento del magazzino (61%), riduzione dei costi (59%). Chi invece produce macchinari 4.0 in 8 casi su 10 dichiara di poter aumentare la redditività della manutenzione sulle macchine vendute e raccogliere dati da utilizzare per R&S e innovazione.
Anche la tematica ambientale ha assunto un ruolo sempre più rilevante negli ultimi anni. Nei distretti l’incidenza di imprese con impianti di produzione di energia da fonte rinnovabile e beneficiari degli incentivi del GSE (Gestore Servizi Energetici) è pari complessivamente all’11,8% (il 14% in più rispetto alle aree non distrettuali), con punte del 25,2% tra le aziende di grandi dimensioni, contro il 20,3% delle medie, il 13% delle piccole e il 6,4% delle micro. La crescita degli investimenti green si è accompagnata a un progressivo sviluppo tecnologico: tra le imprese distrettuali italiane la quota di brevetti green sul totale è salita al 6,3% negli anni più recenti (2014-2018), una quota più che doppia rispetto ai primi anni Duemila.
Un sistema innovativo ed educativo vicino alle imprese: i Competence Center e gli ITS
Formazione e trasferimento tecnologico sono le due chiavi per favorire l’accelerazione degli investimenti nel digitale e nel green. Competence Center (CC), Digital Innovation Hub, Istituti Tecnici Superiori (ITS) e Corporate Academy possono rappresentare la via italiana per sviluppare un sistema innovativo ed educativo che risponda alla domanda di tecnologia (digitale e green) e di capitale umano da parte delle imprese italiane.
Nel Rapporto si descrivono i primi anni di attività degli otto Competence Center italiani: Bi-Rex, SMACT, CIM 4.0, Artes 4.0, Start 4.0, MADE, MedITech, Cyber 4.0. La vocazione tecnologica di ognuno di loro è legata alle specificità dei territori in cui sono inseriti, essendo consorzi composti da enti di ricerca già attivi localmente. La maggior parte delle energie si sono finora concentrate su formazione e bandi di ricerca che hanno coinvolto anche PMI distrettuali e avviato gruppi misti di lavoro con ricercatori universitari. In alcuni casi sono state attivate linee pilota, esempi di fabbriche dove le nuove tecnologie 4.0 sono integrate con quelle tradizionali, in un ambiente digitalmente interconnesso. Nel medio termine, l’affermazione dei Competence Center dipenderà dal loro successo in campo industriale, ovvero dalla capacità di realizzare progetti di ricerca applicata e di trasferimento tecnologico, come avviene in Germania per i Fraunhofer (istituti di scienza applicata).
Un approfondimento è poi dedicato agli Istituti tecnici superiori: nati nel 2010 con l’obiettivo di colmare il mismatch tra offerta di lavoro dei giovani e difficoltà delle imprese nel trovare candidati con competenze adeguate, gli ITS sono un modello formativo terziario professionalizzante di eccellenza, con una buona diffusione nei distretti. Dal 2010 al 2020 sono stati attivati in Italia 1.631 percorsi ITS che hanno coinvolto complessivamente 41.086 studenti. I risultati finora conseguiti sono brillanti: nelle aree ad alta intensità distrettuale l’84,1% dei diplomati è occupato a 12 mesi dal diploma e il 94,4% di questi utilizzano in azienda le competenze acquisite. Tuttavia, è ancora lunga la strada da percorrere, soprattutto per aumentare il numero dei diplomati. Si può prendere ispirazione dal successo delle tedesche “Fachhochschulen” (le scuole universitarie professionali), investendo su comunicazione, orientamento e strutture fisiche, ma anche delineando un percorso professionalizzante che possa essere vissuto, sia dagli studenti che dal mercato del lavoro, come una scelta diversa e non inferiore.