Non bastano le autorizzazioni accordate all’ENI per le trivellazioni petrolifere nel Mar Adriatico e al largo della Sicilia, di cui Amate Sponde ha dato ampiamente conto nei giorni scorsi (https://www.amatesponde.it/eni-trivella-continua/). A dispetto della transizione ecologica che dovrebbe realizzare il passaggio dalle fonti fossili inquinanti alle energie rinnovabili, ora sembra a un passo anche il rinnovo della concessione per la Val d’Agri, in Basilicata, un’operazione che aveva già suscitato in passato l’allarme delle comunità locali e delle associazioni ambientaliste. Ne dà notizia La Gazzetta del Mezzogiorno, quotidiano di Bari, in un articolo a firma di Antonella Inciso.
“Scaduta il 26 ottobre 2019, la concessione che tocca l’Appennino Lucano ha una estensione di 660,15 chilometri quadrati e interessa 19 comuni della provincia di Potenza, potrebbe avere il via libera entro l’estate”, scrive la giornalista. E spiega: “Per farlo, però, manca un tassello fondamentale: quello del Patto di sito, il Protocollo tra Regione, Eni, sindacati e mondo datoriale per la promozione di iniziative finalizzate allo sviluppo, alla tutela della salute ed all’occupazione. Un patto che come avvenuto in passato ha l’obiettivo di tutelare i lavoratori occupati nell’area, in vista di eventuali cambi negli appalti, e di ‘valorizzare il patrimonio minerario presente in Basilicata nel rispetto del contesto ambientale e della vocazione imprenditoriale del territorio’”.
Al momento, nonostante il ruolo di mediazione svolto dalla Regione guidata da Vito Bardi, già vice vicecomandante generale della Guardia di Finanza, su queste indicazioni i sindacati e le imprese sarebbero ancora lontani. Tant’è che le organizzazioni sindacali hanno bocciato la bozza di un Protocollo d’intesa in un incontro che s’è tenuto nei giorni scorsi. Il documento prevedeva, fra l’altro, “azioni reciproche volte alla promozione di iniziative nel settore geo-minerario e non oil finalizzate allo sviluppo regionale” e “la valorizzazione e la salvaguardia delle risorse umane, del coinvolgimento delle micro, piccole e medie imprese e delle professionalità presenti nel territorio regionale”.
“A provocare la reazione dei sindacati – spiega ancora l’articolo – sono le indicazioni che non ci sono. Quelle cioè che nel primo accordo, risalente al 2012, erano state inserite e che, oggi, invece, sono state cancellate. Come, per esempio, quella che riguarda la conoscenza, entro 60 giorni dalla firma del Protocollo, «dei programmi di medio e lungo periodo delle attività di Eni sul territorio e della ricaduta occupazionale”.
Ha dichiarato alla Gazzetta Enrico Gambardella, segretario regionale della Cisl: “Per noi erano elementi di tutela dei lavoratori, soprattutto nell’ambito della continuità lavorativa dei cambi di appalto: in particolare, nella conservazione delle condizioni di lavoro, del salario, degli inquadramenti, delle diverse voci della retribuzioni. E poi, questa straordinaria sorpresa del periodo di prova nei cambi di appalto che sembra un sorta di interpretazione molto originale del job act che penalizza i lavoratori, che sono competenti per l’azienda che lascia il lavoro e non lo sono per quella che assume lo stesso tipo di attività nella continuità dell’appalto”. A suo avviso, dunque, è necessario aggiornare il protocollo per adeguarlo alle norme dei nuovi contratti e alle nuove condizioni di lavoro per effetto del Covid”.
Ad auspicare miglioramenti al Protocollo anche dal punto di vista tecnico è il segretario regionale della Uil lucana, Vincenzo Tortorelli: “In linea di massima il Protocollo in questi anni ha funzionato. Ora, però, vanno affrontate altre criticità legate ai cambi di appalto. Stiamo organizzando perciò alcuni tavoli tecnici e speriamo di arrivare a un’intesa che ci consenta di avere un documento nuovo e capace di rispondere alle nuove esigenze”. In Val d’Agri, le estrazioni durano da 20 anni, ma – secondo il sindacalista – bisogna “fare in modo che quel piano inclinato tra petrolio e territorio ritorni in equilibrio” per perfezionare il Protocollo e passare poi all’iter per il rinnovo della concessione.
È comprensibile naturalmente che i sindacati si preoccupino in primo luogo dell’occupazione, per difendere i diritti dei lavoratori e delle loro famiglie. Ma da anni ormai i cittadini della Basilicata sono costretti fare i conti con la presenza ingombrante dell’Eni, l’Ente nazionale idrocarburi secondo l’acronimo originario. Uno studio di Valutazione di impatto sulla salute (VIS) del professor Fabrizio Bianchi, dirigente del Consiglio nazionale delle Ricerche, ha accertato che nei Comuni di Viggiano e Grumento, entrambi in provincia di Potenza che è l’area sulla quale insiste la concessione petrolifera, si muore di più e ci si ammala di più per determinate patologie rispetto al resto della Val d’Agri e di tutta la regione: i risultati dimostrano che gli eccessi di rischio sono connessi con gli inquinanti derivanti dal Cova (Centro oli Val d’Agri). E lo sversamento di 400 tonnellate di petrolio, avvenuto nel 2018 proprio da questo Centro, ha contaminato 6mila metri quadri provocando un danno di circa 100 milioni di euro alle casse della Regione e quindi un “buco” di bilancio, per i lavori di messa in sicurezza e la conseguente bonifica.
Resta il fatto che, di questo passo, i tempi per la “decarbonizzazione” del Belpaese minacciano di allungarsi all’infinito, con tanti saluti alla tutela dell’ambiente, alla salute dei cittadini e anche allo sviluppo del turismo. La “Valle del petrolio”, nel cuore della Basilicata, è un’altra dimostrazione dello “sfruttamento” a cui sono state sottoposte nel corso del tempo le regioni meridionali. E piuttosto che utilizzare il sole e il vento per produrre energie “pulite”, l’Ente di stato continua a estrarre il cosiddetto “oro nero” che – come tutti gli idrocarburi – provoca l’inquinamento e contribuisce al riscaldamento del pianeta.