Mentre s’istituisce il ministero della Transizione ecologica e si predica la “decarbonizzazione”, per passare dalle fonti fossili e inquinanti alle energie alternative come il sole e il vento, riparte l’industria delle trivelle. Ne dà notizia una fonte non sospetta come Il Sole 24 Ore, quotidiano della Confindustria, in un articolo di Jacopo Giliberto. Sono nove i progetti a cui la Commissione di valutazione di impatto ambientale del ministero ha dato il via libera, per “sfruttare i giacimenti nazionali di metano e di petrolio – come informa il giornale – nascosti nel sottosuolo emiliano (società petrolifere Po Valley e Siam), sotto i fondali dell’Adriatico (Po Valley ed Eni) e nel Canale di Sicilia (Eni), per più di 20 pozzi da perforare”.
Nelle ultime settimane, per ironia della sorte, è stato proprio il neo-ministro della Transizione ecologica, Roberto Cingolani, a firmare i decreti di compatibilità ambientale. Con tanti saluti alla sua mission istituzionale e alla lotta al cambiamento climatico. E il paradosso nel paradosso è che il maggior beneficiario di queste autorizzazioni è l’Eni, originariamente acronimo di Ente nazionale idrocarburi, l’azienda pubblica che finora non ha avuto neppure il pudore di cambiare nome.
Quasi a prevenire le proteste del mondo ecologista, a nome del Pd romagnolo interviene Gianni Bessi e dichiara al Sole: “Il futuro sarà nelle rinnovabili, ma nel frattempo il gas può dare stabilità al sistema energetico italiano riducendo le importazioni. La transizione energetica non è solo un passaggio alle rinnovabili: è anche una transizione di conoscenze e competenze dei lavoratori”. Una teoria che, per la verità, assomiglia molto alla ricerca di un alibi per giustificare queste nuove trivellazioni.
Sono in tutto 90 le richieste in attesa di autorizzazione. E perciò la Commissione VIA continua l’esame per la valutazione ambientale strategica del cosiddetto “Pitesai”, il piano regolatore delle aree nelle quali si potranno cercare e sfruttare altri giacimenti. Ma questo “dovrà adeguarsi – ricorda il quotidiano della Confindustria – alle norme internazionali e all’intera pianificazione marina imposta dall’Ue che l’Italia non è riuscita a consegnare alla scadenza di marzo”, probabilmente anche a causa della crisi di governo. Secondo le richieste di Bruxelles, in particolare per quanto riguarda le trivellazioni in Adriatico e al largo della costa siciliana, devono essere messi a sistema la tutela del mare con i diversi usi: pesca, estrazione di sale o dai giacimenti, navigazione e turismo.
Tra le operazioni autorizzate, spiccano quelle dell’Eni per perforare i giacimenti Donata al largo di San Benedetto del Tronto, di Recanati e di Ancona. Via libera all’ex Ente nazionale idrocarburi anche per il giacimento di metano Lince davanti alla costa di Gela e Licata (Sicilia). L’Ufficio minerario passato dal ministero dello Sviluppo economico a quello della Transizione ecologica, inoltre, ha prorogato la concessione ad altri 13 giacimenti marini, di cui 12 dello stesso Eni e uno dell’Energean.
Se questo è l’avvio del “New Green Deal” lanciato dal governo giallorosso di Giuseppe Conte, allora bisogna dire che quello guidato da Mario Draghi sta cambiando rotta e certamente non si tinge di verde. Più che una transizione, questa è un’inversione energetica che minaccia l’ambiente e il mare, un’attrattiva e una risorsa fondamentale per il Belpaese. E dire che il turismo, non solo quello estivo, rimane tuttora la nostra prima industria nazionale.